il blog del Don Bosco Ranchibile

martedì 14 dicembre 2021

Il calendario dell'avvento


Avvento, tempo di attesa. Tempo di attese.

Sono tante le attese che ognuno di noi porta nel proprio cuore.

C’è chi spera in un domani migliore, ma che sia anche prossimo. 

Si spera anche che il clima natalizio, giorno dopo giorno, permetta quasi per magia di essere sempre migliori. Si sa: a Natale siamo tutti più buoni.

Un sintomo di questa attesa bontà potremmo trovarlo nelle molteplici richieste di aiuto che giungono per posta o via internet. 

Infinite campagne di solidarietà che ci fanno toccare il polso della nostra società e delle tante sue contraddizioni.

«Sostieni Telethon e la ricerca!», «Offri il tuo contributo per l’Unicef!», «Dai un aiuto a Medici Senza Frontiere!», e poi c’è l’AIL, la Lega del filo d’oro, Salesiani per il sociale e… l’elenco potrebbe estendersi per pagine.

C’è tanto bisogno di attenzione verso i più fragili.


Con le richieste di solidarietà, a volte, giungono dei gadget che cercano di stimolare la sensibilità. 

Ne ho ricevuto uno, quest’anno, che mi ha fatto riflettere parecchio. Mi ha anche commosso un po’.

Si tratta di un particolare calendario dell’avvento, davvero originale.

Il calendario dell’avvento comincia a diffondersi in Germania circa cento anni fa per indicare ai bambini i giorni che mancano alla vigilia di Natale ed oggi è un’usanza diffusa in molte nazioni europee e negli Stati Uniti. Si tratta di un calendario di cartone in cui si aprono delle finestrelle che contengono formine di cioccolato con motivi natalizi.

Ecco, il calendario che ho ricevuto mi è stato spedito dalla fondazione Dottor Sorriso, che dal 1995 si occupa di clownterapia negli ospedali pediatrici. Medici, infermieri e professionisti cercano di strappare un sorriso ai piccoli pazienti, soprattutto nei reparti oncologici, ottenendo anche risultati interessanti nei processi di cura e di guarigione.

Cosa ha di particolare questo calendario? Aprendo le piccole finestre non troviamo cioccolatini, ma ci viene indicato un motivo per essere contenti, per provare gioia.

Ad esempio: mercoledì 1 dicembre… la gioia di guardare. Giovedì 2 dicembre… la gioia di camminare. Venerdì 3 dicembre… la gioia di aspettare. Domenica 5 dicembre… la gioia di leggere. E così via, fino ad arrivare ad oggi, martedì 14 dicembre… la gioia di vivere!!!


Vi dicevo che questo piccolo calendario mi ha fatto riflettere e mi ha anche commosso.

Già, perché mi ha fatto pensare che spesso ci aspettiamo dei regali e trascuriamo i tanti doni che la vita giorno per giorno ci offre e che diamo per scontati. Mi ha fatto pensare che tanti, in questo mondo, sono meno fortunati e non hanno potuto ricevere gli stessi doni. E ancora una volta mi rendo conto che nulla è scontato in questa vita.

Mi ha fatto pensare che qualcuno forse aspetta ancora uno di questi piccoli-grandi doni quotidiani perché dovrei essere io a portarglielo e magari non lo faccio.

Mi ha fatto pensare che ci sono migliaia di motivi per cui esprimere gratitudine alla vita e a Dio e invece mi ostino ancora a pensare che tutto è scontato, dovuto, normale.


Non è «normale» la vita. È una meraviglia che, solo per il fatto di averla ricevuta in dono, dovrebbe scatenare in noi una gioia incontenibile. Ed invece troviamo sempre motivi per lamentarci.

Io non so se è vero che a Natale siamo tutti più buoni. Ho capito che potremmo esserlo sempre, se solo fossimo in grado di aprire ogni giorno una finestra sulla gioia, e di portare questa gioia a chiunque ne ha bisogno. Magari con un sorriso.


martedì 23 novembre 2021

Un uomo innamorato



Ventiquattro ore al giorno ed una miriade di piccoli fatti si susseguono e ci sembrano irrilevanti. Quante volte rimaniamo sorpresi perché la nostra mente rimuove eventi che abbiamo ritenuto importanti mentre conserva una traccia indelebile di piccole storie che potremmo definire… quotidiane, normalissime.

Oggi vorrei regalarvi uno di questi ricordi.


Castellammare di Stabia, provincia di Napoli, con un gruppo di compagni di studio, nel lontano 1988. Un’epoca fa. 

Siamo ospiti a pranzo nella casa salesiana di quella città. Alla fine del pranzo, il direttore ci dice: «Venite con me, vi mostro ciò che di più prezioso abbiamo in questa casa!».

Contenti di avere il privilegio di poter vedere di persona un oggetto prezioso, lo seguiamo e veniamo subito introdotti nella cappellina che si trovava a pochi passi dalla sala da pranzo dei salesiani. 

«E ti pareva!», ho pensato, «Ormai è un classico. La solita frase ad effetto per invitarci a pregare dicendoci ciò che abbiamo di più prezioso è Gesù presente nel santissimo. Sai che originalità. È ormai una frase strausata!». 

Invece la nostra guida punta l’indice verso un angolo della chiesa e sorridendo ci dice: «Eccolo là!». Poco distante, fra i banchi c’è un vecchietto che sta spazzando la chiesa.

La nostra espressione avrà sicuramente tradito il fatto che siamo tutti un po’ sorpresi e curiosi. Di che tesoro si tratta?

Il direttore ci dice: «Quell’omino che vedete lì è un salesiano coadiutore. La sua età? Centoquattro anni! E tutti i giorni, tutti i santi giorni, dopo pranzo, quando tutti gli altri reclamano la sacrosanta pennichella, lui viene qui, in chiesa, prende la scopa e comincia a spazzare».

Io non ricordo il nome di quel salesiano ma non posso dimenticare la sua figura esile, il suo capo canuto, gli occhiali spessi e, soprattutto, il suo sorriso che trasmetteva una pace profonda.

Ci viene concesso di avvicinarci a salutarlo e scambiare con lui due parole. Ho quasi la sensazione di trovarmi davanti ad un delicatissimo oggetto di cristallo. Quell’uomo davanti a me viene dall’Ottocento, ha visto due conflitti mondiali è un libro di storia vivente!!! Lui sorride. E basta. Nient’altro. È contento di vedere dei giovani, (allora ero giovane!) che sono lì per parlare con lui, per stare con lui.

Gli chiediamo della sua scopa e di cosa lo spinge, nonostante la sua veneranda età, a passare quel tempo, che spesso  si dedica al riposo, in quell’operazione che, in fin dei conti, spetterebbe ad altri.

«Non mi chiedo a chi spetta fare questo», ci dice, «Mi chiedo cosa posso fare per essere utile al buon Dio ora che le forze sono poche. Questo posso farlo. Posso tenere pulita la sua casa. Non mi pesa, anzi mi rende felice. E mi ricorda anche che devo tenere pulita la mia anima». E ancora un sorriso che sa di paradiso.

Avrò visto tanti tesori in giro per i più bei musei che ho avuto la fortuna di visitare. Ma quell’incontro mi ha donato qualcosa di inestimabile, che non ho mai più cancellato.

Quale straordinaria lezione di vita nell’arco di alcuni minuti!

Oggi, quando vedo il pianeta cadere a pezzi per l’incuria e la follia umana, nonostante tutti i movimenti ambientalisti e le proteste di migliaia e migliaia di giovani, mi chiedo quanto diverso sarebbe il percorso della storia se ci fossero ovunque tanti vecchietti come quello che, a centoquattro anni, si dava da fare per tenere pulito un piccolo angolo di mondo e la sua anima. Perché lo faceva? Mi sono dato una risposta: perché era innamorato! 

Già. Innamorato di Dio, innamorato del mondo, innamorato dell’umanità, innamorato della sua lunga e preziosa vita.




martedì 9 novembre 2021

Mind the gap!

 

Il 30 giugno 2019 il giornalista Carmelo Abbate posta una foto sulla sua pagina Facebook “Storie degli Altri”. La foto mostra una donna distinta seduta sulla panchina della metropolitana di Londra. Riporto le parole di Abbate:

«Lei è Margaret. Lei è una signora distinta. È medico di base, vive nel Regno Unito, a nord di Londra. È il 1992. Parte per una vacanza in Marocco. Si affida a una guida. Sono in gruppo. La guida parla, racconta. Lei è incantata. Non ha mai sentito una voce così bella. Si volta. Lo osserva. I loro sguardi si incrociano. Si toccano. Lui è Oswald. Lui era un attore inglese. Ha girato film e serie tv. Lui ha prestato la sua voce al famoso annuncio “Mind the gap”, “Attenzione al vuoto”, che ricorda lo spazio fra treno e banchina nelle stazioni della metropolitana di Londra. Margaret e Oswald si amano. Vanno a vivere insieme. Si sposano. Vivono anni meravigliosi. È il 2007. Lui muore. Lei è persa. Sola. Il suo amore per Oswald era totalizzante. Ogni giorno Margaret esce di casa, va in stazione, si siede su una panchina e ascolta la voce del suo Oswald. Lui parla. Lei ricorda, rivive, sorride, si commuove. Se deve prendere un treno, aspetta quello successivo. La voce di Oswald le scalda il cuore. È il novembre del 2012. Margaret è seduta sulla panchina. Arriva il convoglio, accenna un sorriso pregustando il suono familiare delle parole del marito. Parte l’annuncio. Non è lui. Non è la voce di Oswald. È un suono quasi metallico. Impersonale. Anche le parole sono cambiate. Margaret scoppia in lacrime. È devastata. Si sente a pezzi. Il giorno dopo scrive una lettera ai gestori della metropolitana. Scopre che il vecchio annuncio è stato sostituito da uno digitale ricreato al computer. Margaret richiede una copia di quello registrato dal marito tanti anni prima. Vuole riascoltarlo a casa, ogni volta che ne ha voglia. Il direttore della Transport of London legge la lettera della signora Margaret McCollum. Rimane colpito. Emozionato. Regala la copia registrata alla donna, e ripristina l’annuncio originale nella stazione di Embankement. Ancora oggi, se vi capita di fermarvi in quella stazione di Londra, potete sentire la voce di Oswald Lawrence ripetere “Mind the gap”». 


Le persone che amiamo, o che abbiamo amato, sono anche la loro voce. Se pensiamo a qualcuno di loro ricordiamo il volto, lo sguardo, a volte l’odore, sicuramente la voce. E non c’è tempo che possa cancellarla. 

Come dimenticare il suono della voce della professoressa Pennino, di don Papa, del signor Marcello che gridava amico mio, fratello mio, in cortile e di tutte le persone che ci hanno lasciato. Già! Ci si lega anche alla voce delle persone. Fa riflettere tanto questa storia. Storia vera, tra l’altro.

Ma anche il messaggio registrato da Oswald Laurence ci invita a riflettere: mind the gap! Attenzione al vuoto! Quasi a richiamare la nostra attenzione su un pericolo che corriamo frequentemente: creare un spazio vuoto tra noi e l'altro, (persino tra noi e l’Altro!), non vivere relazioni vere. E il vuoto è pericolo, possiamo caderci dentro. 

Allora ben vengano le voci che ci invitano a stare attenti, a non essere distratti sulla vita, sugli altri e i loro bisogni. Che siano voci che rimangano come traccia indelebile nel nostro cuore.

Oggi potremmo dedicare un momento della giornata a riavvolgere il nastro, a richiamare alla nostra mente una voce cara, una voce che ci ha scaldato il cuore e di cui sentiamo terribilmente la mancanza. Riascoltiamola. Magari servirà ascoltare anche i suoi consigli. Mind the gap!

Prof. Pino Casano.



giovedì 4 novembre 2021

Come cambiare il mondo? Rifacendoti il letto al mattino.


Navigando tra le numerose pagine social dei motivatori americani mi sono imbattuto in un video, che forse molti già conoscono, e che ha avuto una certa diffusione per un certo periodo. Si tratta del discorso pronunciato dall’ammiraglio della marina americana William McRaven agli studenti neolaureati dell’università del Texas nel 2011. Il discorso in sé è discutibile, perché rimanda ad un’etica puramente volontaristica, fondata su una disciplina ferrea votata a forgiare il carattere, basato sulla legge del più forte e che tende ad escludere, più che includere.


Ad ogni modo, il discorso comincia con una frase che mi ha colpito parecchio:


Se vuoi cambiare il mondo, inizia rifacendoti il letto. Se ti rifai il letto ogni mattina, avrai portato a termine il primo compito della giornata. Proverai un piccolo moto d'orgoglio per te stesso e sarai incoraggiato a portare a termine un altro compito. E poi un altro e un altro. Entro la fine del giorno, quei piccoli compiti portati a termine, diventeranno una missione portata a termine


Il discorso prosegue con una descrizione enfatica delle fatiche e delle prove – a tratti disumane – superate durante la sua formazione all’accademia. Però questa frase fa riflettere: se vuoi cambiare il mondo, comincia a fare il letto ogni mattina. Ora, a prescindere dal seguito del discorso che condivido solo in parte, lo snodo cruciale penso possa essere questo: per cambiare il mondo, dobbiamo cominciare dalle cose piccole, da tutte quelle occasioni quotidiane che costellano la nostra giornata. Per realizzare tutte le grandi cose che abbiamo nel cuore, dobbiamo cominciare da quelle ordinarie: come rifarsi il letto appena svegli.


Nessuno di noi, immagina per sé stesso un futuro mediocre, di ripiego: ciascuno di noi è bene che sogni in grande per il proprio futuro, che alimenti questi sogni e faccia di tutto perché si realizzino (pur lasciando lo spazio per lasciarci sorprendere da quel che non avevamo neppure sognato: i sogni più belli sono quelli che non avevamo neppure immaginato). 


Eppure a volte cadiamo nella tentazione di pensare che questo futuro magnifico si costruirà in un tempo non ben determinato, lontano:


«Da domani comincerò a studiare come si deve…»

«Quando sarò all’Università e avrò materie che mi interessano davvero, allora mi impegnerò sul serio…»

«Quando mi fidanzerò cambierò questo aspetto del mio carattere…»

«Quando avrò messo su famiglia metterò la testa a posto…»


E così rinviamo a domani il primo mattone di quel Grande Edificio (la nostra vita) che dovremmo cominciare a costruire oggi. 


Ci sono delle frasi del Vangelo che piacciono a tutti: atei e credenti, a motivo di quella sapienza profonda e genuina che tocca il cuore di tutti. Una di queste frasi è: «Chi è fedele nel poco, lo sarà anche nel molto». Ed è proprio così. Proprio essendo fedeli, responsabili, attenti, caritatevoli, nelle cose piccole potremo esserlo anche in quelle grandi.  


Voi le vedete, le persone realmente felici: quelle che in qualsiasi circostanza, anche nelle difficoltà, sanno tirare fuori un sorriso. Perché hanno una stabilità interiore costruita nel tempo, e nella maggior parte dei casi – aggiungo io – per una vita di fede intensa, che alla lunga dona questa pace, questa felicità profonda e radicata. 


Giovanni Paolo II, in un discorso tenuto davanti a dei giovani, come voi, pronunciò questa frase: «Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro».  È una frase stupenda perché pragmaticità e grandezza convivono in poche parole. Prendere in mano… ogni giorno, il compito che ci troviamo davanti… e sognare in grande, per un futuro migliore. 


Senza pensare che la bellezza della nostra vita dipenda da quello che succederà in futuro. Senza pensare che il mondo sarà un posto migliore a prescindere da noi… Ogni giorno, facendo bene il vostro compito, voi potete fare della vostra vita un capolavoro. 


Da dover iniziare...? Perché no: rifacendosi il letto ogni mattina. 


Prof. F. Iurato

lunedì 18 ottobre 2021

La ranocchia

 Olivier Clerc è uno scrittore francese che ci propone una interessante riflessione:

Immaginate una pentola piena d'acqua fredda in cui nuota tranquillamente una piccola ranocchia.

Un piccolo fuoco è acceso sotto la pentola e l'acqua si riscalda molto lentamente.

L'acqua piano piano diventa tiepida e la ranocchia, trovando ciò piuttosto gradevole, continua a nuotare.

La temperatura dell'acqua continua a salire. Ora l'acqua è calda, più di quanto la ranocchia possa apprezzare, si sente un po' affaticata, ma ciò nonostante non si spaventa.

Ora l'acqua è veramente calda e la ranocchia comincia a trovare ciò sgradevole, ma è molto indebolita, allora sopporta e non fa nulla.

La temperatura continua a salire, fino a quando la ranocchia finisce semplicemente per cuocere e morire.

Se la stessa ranocchia fosse stata buttata direttamente nell'acqua a 50 gradi, con un colpo di zampe sarebbe immediatamente saltata fuori dalla pentola.

Ciò dimostra che, quando un cambiamento avviene in un modo sufficientemente lento, sfugge alla coscienza e non suscita nella maggior parte dei casi alcuna reazione, alcuna opposizione, alcuna rivolta.


Potremmo prendere in considerazione tale insegnamento a più livelli e sotto diverse angolazioni.

Se ne potrebbe fare una lettura di tipo socio-antropologica: certi modi di fare, che una volta avrebbero causato la reazione immediata di molti, o avrebbero generato scandalo, oggi vengono tollerati solo, per il fatto che sono entrati piano piano a far parte del modo comune di agire e hanno provocato una trasformazione del nostro modo di percepirli.

Si potrebbe anche ipotizzare una lettura "individuale", di tipo psicofisico. Mentre cresciamo è inevitabile la nostra trasformazione psicofisica, ma l'esito di questa trasformazione non è scontato. Della bontà o della pericolosità di certi gesti e comportamenti, che spesso mettiamo in atto con cadenza quotidiana, e il più delle volte ci vengono proposti, ci renderemo conto solo dopo, quando probabilmente non avremo più la forza per poter rimediare.

Il futuro si gioca oggi.

Se io ti dico: "Dai, amico mio, manda giù questa grande quantità di veleno, ti provocherà un piacere enorme, anche se poi chiaramente ti schiatterà il cuore e morirai, ma vuoi mettere...", probabilmente mi dirai "Ma sei scemo? Bevitelo tu! Io ci tengo alla mia vita!".

Ma se questo "veleno" ti viene offerto centellinato, goccia dopo goccia, sospirata dopo sospirata, gesto dopo gesto, spavalderia dopo spavalderia,... e piano piano ti accorgi che ti vai trasformando, che il tuo carattere si fa sempre più debole e rischi di fare la fine della ranocchia? 

A questo serve lo studio, a questo serve la conoscenza. A guardarti intorno, aprire la mente, scoprire l'inganno di chi sulla tua stessa vita fa semplicemente dei calcoli economici e non ti vuole libero, ma prigioniero di un sistema nel quale ti fa entrare piano piano e dal quale sa che non potrai più uscire.

Adesso voglio dirti una cosa che può sembrarti una follia: paradossalmente, chi ti vuole veramente libero a volte ti lega.


Proprio come il contadino che lega stretto un alberello ad un sostegno, finché non sarà in grado di resistere da solo alle intemperie.

Ricordi Ulisse e le sue sirene?

Aristotele, grande filosofo dell'antichità diceva che per educare un ragazzo ad una vita virtuosa, una vita buona, non bisogna affidarsi a tanti discorsi, (pensa, un filosofo che sulla forza dei "discorsi", delle parole, dei concetti, aveva costruito tutta la sua scienza logica!), ma è opportuno fargli ripetere continuamente delle azioni buone, finché per lui saranno un'abitudine.


Che avesse ragione?



martedì 12 ottobre 2021

Giulia e Martina. Due storie.

 



Mi piacciono i social, anche se in tanti dicono che non sono la realtà.

Ma c’è di tutto, nei social, come nella realtà. 

Ci sono esempi da seguire ed esempi da evitare. Come nella realtà. 

E ci sono storie che raccontano la realtà.


Da piccoli ci dicevano di non parlare con gli sconosciuti. Ma non tutti gli sconosciuti erano cattivi. Magari con qualcuno di loro sarebbe stato bene parlare, per arricchirci, ma li abbiamo evitati.

Così i social: evitarli a prescindere non è una buona soluzione. Starci dentro e formarsi una coscienza critica (del resto non siamo soli, almeno spero!) potrebbe essere una scelta migliore.


Ad esempio, un paio di giorni fa mi sono imbattuto in una pagina facebook che presenta un parallelismo tra due storie e due persone. È stata un’ottima occasione per riflettere.


Cito letteralmente dalla pagina facebook “Piccole storie”:


«L'altro ieri verso lo stesso orario sono accadute 2 cose che fotografano benissimo lo stato in cui versa l'umanità.

A destra c'è Giulia de Lellis, regina di Instagram, milioni di seguaci, migliaia di euro guadagnati al mese, che ieri circolava per le strade di Milano con questo completino alquanto curioso.

Subito immortalata sui maggiori quotidiani online d'Italia, il trionfo dell'estetica.

Nel mentre a qualche chilometro di distanza, c'era Martina, giovane carabiniere, sconosciuta, un numero come tanti altri, che si ritrovava in un paesino sperduto del Veneto a convincere una giovane madre a non buttarsi giù da un ponte.

Si siede a pochi metri da lei ed instaurano un lungo discorso, la signora le parla dei suoi problemi economici, la paura di non poter assicurare ai suoi figli un futuro dignitoso, Martina dal canto suo la calma, la tranquillizza, riesce a ribaltare le sue fragilità ed a trasformarle in speranza, in forza d'animo.

Dopo 3 ore e mezzo (ripeto 3 ore e mezzo) scendono abbracciate ed esplodono entrambe in un pianto liberatorio».

L’autore del post dice di aver letto la notizia su uno sconosciuto giornalino online del Veneto.

 

È grande il senso di amarezza che deriva dalla differenza di trattamento che nella nostra società viene concesso a due giovani donne: Martina ha salvato una vita, Giulia ci dice come vestire, come avere un fisico perfetto. Eppure la comunicazione sociale spinge perché tante ragazzine sentano il desiderio di imitare Giulia e non Martina, perché Giulia, indossando dei mutandoni si fa un sacco di soldi e Martina, indossando una divisa, ha uno stipendio appena accettabile.

 

Continua l’autore del post:

«Invito tutti a leggere una ricerca del Wall Street Journal da dove si evincono gli effetti devastanti che sta avendo Instagram sugli adolescenti. Leggere che un terzo delle ragazzine non accetta più il proprio corpo da quando usa Instagram fa veramente male al cuore.

Cari Influencer avete un grande potere da cui derivano però anche grandi responsabilità.

Vi chiedo e vi scongiuro, postate anche contenuti, sentimenti.... ne abbiamo veramente bisogno».

 

Ci insegnavano a non fidarci degli sconosciuti. Oggi ci dicono di non fidarci dei social.

Ma il male e il bene sono sempre esistiti, come il bello e il brutto, il buono e il cattivo.

Imparare a distinguerli è la difficile sfida della vita, per ciascuno di noi.

Aiutarci ad imparare a distinguerli è il difficile compito dei genitori, della scuola, degli educatori.

Piuttosto che di persone che ci dicano come vestirsi, truccarsi, atteggiarsi, facendo di noi spesso dei ridicoli burattini, abbiamo bisogno di persone che ci aiutino ad apprezzare la bellezza della vita, ad essere noi stessi, preziosi agli occhi del mondo e agli occhi di Dio.

 

Siate Martina.      


(Pino Casano)


martedì 5 ottobre 2021

Resto umile!




 È diventato un tormentone.

Meme su meme per sottolineare nostre capacità vere o presunte, per mettere in evidenza il nostro stato sociale o le nostre possibilità economiche, magari per dare agli altri la comunicazione di un’inattesa occasione che ha cambiato la nostra condizione e poi concludiamo con la frase: “però resto umile!“.

Già, l’umiltà… ok, lo diciamo per scherzo, è una battuta, anzi forse vogliamo proprio essere provocatori definendoci umili nel momento in cui proprio non lo siamo.

Ma, a prescindere da questa particolare situazione, diciamo così, “social”, ha ancora senso parlare di umiltà? Me lo chiedo. Perché a volte ho la sensazione che certe virtù siano un po’ démodé!



Camminavo con mio padre, quando all’improvviso si arrestò ad una curva e dopo un breve silenzio mi domandò: “Oltre al canto dei passeri, senti qualcos'
altro?”.

Aguzzai le orecchie e dopo alcuni secondi gli risposi: “Il rumore di un carretto”.

“Giusto – mi disse –. È un carretto vuoto”.

Io gli domandai: “Come fai a sapere che si tratta di un carretto vuoto se non lo hai ancora visto?”.

Mi rispose: “E’ facile capire quando un carretto è vuoto, dal momento che quanto più è vuoto, tanto più fa rumore”.

Divenni adulto e anche oggi quando vedo una persona che parla troppo, interrompe la conversazione degli altri, è invadente, si vanta delle doti che pensa di avere, è prepotente e pensa di poter fare a meno degli altri, ho l’impressione di ascoltare la voce di mio padre che dice:

“Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore". (Bruno Ferrero)


L’umiltà non fa rumore.

E l’umiltà non è una virtù fine a se stessa e ancor meno serve vantarsene. Sarebbe contraddittorio.

Essere umili significa avere il senso delle cose. Essere nella realtà. Avere il senso della terra. Ma quanto è difficile oggi, in una società dove la competizione e la sopraffazione sono i principali strumenti di affermazione sociale.

Pieni di noi stessi, rischiamo di non riconoscere il vuoto che è dentro di noi.

“Umiltà” ha la stessa radice della parola umano, derivano da humus, che significa terra. Perché questo è ciò che siamo. 


Il calendario dell'avvento

Avvento, tempo di attesa. Tempo di attese. Sono tante le attese che ognuno di noi porta nel proprio cuore. C’è chi spera in un domani miglio...