il blog del Don Bosco Ranchibile

giovedì 30 ottobre 2014

...per nome e cognome!

Dietro ad ogni nome c'è un volto, una persona, un'identità,  una storia, un cuore.

Ecco l'elenco ufficiale dei ragazzi impegnati nel volontariato a Santa Chiara.

Ad ognuno di loro l'augurio di una vita intensa all'insegna dell'amore e della generosità!

Ad ognuno di loro un grazie di cuore!

mercoledì 29 ottobre 2014

The last photo

Giochiamo spesso con la fantasia. E meno male che c’è ancora concesso.
Le occasioni non mancano, anzi.
Una di queste occasioni mi ha fatto riflettere particolarmente. Ritiro spirituale con una classe del biennio. Ripetiamo un gioco che ormai proponiamo da un po’: se per ipotesi una catastrofe stesse per abbattersi sul nostro pianeta e fossimo costretti a lasciare in fretta la nostra vecchia Terra... se ci venisse garantito tutto l’essenziale per sopravvivere e ci permettessero di portare con noi solo tre oggetti... a che cosa non rinunceremmo? Ve lo ricordate?
Le risposte sono varie e spesso si somigliano, o hanno delle analogie. Cerchiamo di individuare con esse a cosa davvero teniamo di più. Gli oggetti parlano di noi, a volte anche quando non ci siamo...
Bene. In una di queste occasioni mi ha molto colpito la considerazione di un ragazzo che ha detto: “Porterei con me la macchina fotografica, perché vorrei scattare un’ultima foto alla Terra, prima di andare via!”.
Un’ultima foto alla Terra. Caspita! Non ci avevo mai pensato. Diciamo tanto di amare la nostra Terra ma poche volte guardiamo le sue foto. Lo facciamo, normalmente, con le foto di qualcuno o di qualcosa a cui teniamo particolarmente.
Così in un attimo di pausa ho detto: voglio proprio vederla, la Terra!
Google Earth... la tecnologia ci viene incontro. E devo confermare che è proprio bella la Terra. Vista da fuori è meravigliosa... già è stupenda. Oserei dire commovente.
Ho visto la mia casa, ho visto la nostra scuola e ci si sente infinitamente piccoli.
Affascinante l’azzurro degli oceani, tranquillizzante il verde delle foreste, un po’ meno il giallo che nella parte centrale colora i deserti, incantevole il bianco  (sempre più ridotto) dei due poli.
Tutto così funzionale, tutto così organizzato, tutto così perfetto... meraviglioso!
Ma non appena proviamo ad ingrandire la foto per vederne i particolari i colori cambiano.
Vediamo il grigio delle città e dell’inquinamento selvaggio, riusciamo quasi a percepirne l’odore; il nero della miseria e della morte, il rosso del sangue... anche di tutto questo sembra sentire l’odore, e fa male. Colpisce allo stomaco. Ci sono elementi che non hanno colore né odore: le lacrime dei bambini, il silenzio di chi soffre e i sospiri di chi è solo... ne percepiamo il suono sommerso e tutto questo fa sempre male.
Quando scattiamo una foto chiediamo al soggetto ripreso di sorridere. Potremmo chiedere un sorriso anche al nostro pianeta? Certo che sì!
Se potessimo percepirne la voce, probabilmente riusciremmo a sentirne il battito del cuore: ci direbbe che siamo noi che, giorno per giorno, soffochiamo il suo sorriso, e che solo noi possiamo impegnarci, giorno per giorno, per farlo tornare a sorridere. Con le piccole cose,, con i piccoli gesti quotidiani, superando le barriere dell’orgoglio e dell’egoismo.
Amando chi ci sta accanto. Il prossimo appunto.
Non è poesia questa. Se è vero, come alcuni affermano, che anche il semplice cadere di una foglia si ripercuote in qualche modo in tutto il mondo, perché non dovremmo ritenere altrettanto potente il sorriso di un bambino, un piccolo gesto di amore, il dono di un sollievo?
Ci rendiamo conto di quale potente energia siamo custodi?
Impegniamoci allora per far tornare a sorridere la Terra... poi magari scattiamole pure una foto. Che non sia l’ultima.

I mille volti del volontariato

Ci sono molti modi per fare qualcosa per qualcuno...
e per se stessi!
Unisciti anche tu al gruppo del Coro "ADUNAVOCE"!

mercoledì 22 ottobre 2014

Oggi non è il mio giorno


Se da piccola le avessero detto che avrebbe incontrato il presidente della nazione più potente del mondo, che avrebbe potuto parlargli a quattr’occhi; se le avessero raccontato che avrebbe avuto l’occasione per raccontare i suoi sogni ai grandi della Terra, riuniti all’Assemblea delle Nazioni Unite, disponibili ad ascoltarla; se le avessero suggerito che un intero giorno avrebbe portato il suo nome, e che in quel giorno l’avrebbero ascoltata in moltissimi e avrebbero reagito alle sue parole con un’ovazione...  probabilmente avrebbe sfoderato quel sorriso dolce e semplice ma disilluso di chi, sognando, ha imparato a non fuggire la realtà, ma ad immergersi in essa con tutta la propria vitalità.
Se da piccola le avessero detto che un giorno (ancora abbastanza piccola!), al ritorno da scuola, un uomo sarebbe salito sull’autobus sgangherato, sulla strada di casa, e le avrebbe sparato tre proiettili contro, ferendola gravemente alla testa e al collo... forse avrebbe ancora sorriso di fronte a quello strano incubo, ritenendolo senza senso. Perché? Chi avrebbe avvertito in lei una minaccia?
Oggi sorride Malala Yousafzai, come sempre, con quel sorriso che qualcuno avrebbe voluto spegnere, senza riuscirci. Perché Malala ha spaventato quel qualcuno e lo ha fatto proprio con i suoi sogni, lo ha fatto immaginando e suggerendo un mondo diverso, lo ha fatto ribellandosi ad una cultura della prevaricazione, della violenza e della discriminazione.
E’ piccola Malala, fisicamente e anagraficamente piccola, ma in grado di scatenare terremoti.
Nasce nello Swat, piccola regione del Pakistan occupata dalle milizie talebane.
A tredici anni diviene famosa per un blog che lei cura per la BBC, documentando il regime dei talebani pakistani con la sua negazione dei diritti delle donne, in particolare quello all’istruzione.
Il 9 ottobre 2012, (ha 15 anni), è vittima di un attentato. I fondamentalisti ne rivendicano la responsabilità accusandola di essere “il simbolo degli infedeli e dell’oscenità”. Minacciano di ritentarci, nel caso in cui fosse sopravvissuta.
E lei sopravvive. Da Peshawar, dove le sono stati asportati i proiettili, viene trasferita a Birmingham, in un ospedale inglese che si è offerto per curarla.
Riceve alcuni riconoscimenti ufficiali e alcuni premi, ma soprattutto numerosissime manifestazioni di solidarietà e di affetto.
Il 10 ottobre 2014 viene insignita del premio Nobel per la pace insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi. A diciassette anni è la più giovane vincitrice della storia del prestigioso premio.
Questa la motivazione dei giudici che hanno assegnato il premio: “per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti  i bambini all'istruzione”.
Io sono Malala” è il titolo della sua autobiografia. A sedici, diciassette anni c’è poco passato da raccontare, ma tanto futuro da sognare!
"Capiamo l'importanza della luce quando vediamo l'oscurità, della voce quando veniamo messi a tacere. Allo stesso modo nel Pakistan abbiamo capito l'importanza di penne e libri quando abbiamo visto le pistole.
La penna  è più forte della spada. È vero che gli estremisti hanno e avevano paura di libri e penne. Il potere dell'istruzione fa loro paura. E hanno paura delle donne: il potere della voce delle donne li spaventa. Per questo hanno ucciso 14 studenti innocenti, per questo hanno ucciso le insegnanti, per questo attaccano le scuole tutti i giorni. Gli estremisti hanno paura del cambiamento, dell'uguaglianza all'interno della nostra società".
Sono parole sue, parole pronunciate durante il Malala Day, quando è stata ricevuta dai rappresentanti delle Nazioni Unite al Palazzo di vetro di New York.
"Sono qui e oggi parlo per tutti coloro che non possono far sentire la propria voce; pensavano che quel proiettile ci avrebbe fatto tacere per sempre, ma hanno fallito", ha detto, lanciando un vibrante appello "all'istruzione per tutti i bambini".
Tra i suoi sogni più grandi c’è quello di un mondo dove i potenti si impegnino per la pace, per i diritti di donne e bambini, per il diritto all’istruzione, per tutto ciò che può garantire ad ognuno giustizia e felicità:
"Chiediamo ai leader di tutto il mondo di cambiare le politiche strategiche a favore di pace e prosperità, che tutti gli accordi tutelino i diritti di donne e bambini. Chiediamo a tutti i governi di assicurare l'istruzione obbligatoria e gratuita in tutto il mondo a ogni bambino, di lottare contro il terrorismo e la violenza, ai Paesi sviluppati di sostenere i diritti all'istruzione per le bambine nei Paesi in via sviluppo. Chiediamo a tutte le comunità di respingere i pregiudizi basati su caste, sette, religione, colore, genere... Chiediamo ai leader di tutto il mondo di assicurare la sicurezza di donne, perché non possiamo avere successo se metà di noi subisce torti. E chiediamo a tutte le sorelle di essere coraggiose, comprendendo il loro pieno potenziale e agendo".
Ragazzi, io non voglio sminuire i vostri bisogni né le vostre prerogative, ma permettetemi e permettetevi di fare un rapido paragone tra quanto avete sentito (o pronunciato) nella recente assemblea degli studenti e le parole di una ragazzina nata in una poverissima regione di uno dei paesi più dilaniati della Terra.
Che il troppo benessere ci stia anestetizzando il cuore? Che a poco a poco stiamo rischiando di non sapere guardare oltre i nostri interessi personali?
Che effetto fa sapere (se lo sappiamo!) che mentre noi ci battiamo per una tapparella che non  funziona, per un ventilatore che non gira, per un orologio che manca alla parete, per la carta igienica e il “bagnoschiuma” nei servizi, per cinque minuti di ricreazione in più, per due compiti assegnati lo stesso giorno, (tutto sacrosanto e dovuto... lo so!)... che effetto fa sapere che da un’altra parte del pianeta ci sono nostri coetanei che, per veder riconosciuto il diritto fondamentale alla libertà di scelta, sfidano i manganelli della polizia riparandosi sotto semplici ombrelli colorati?
Siamo nati fortunati. E’ vero. Ma non siamo migliori degli altri.
Accettiamo umilmente un ultimo insegnamento da Malala.
Nel suo intervento durante la celebrazione del Malala Day ha detto:
"Oggi non è il mio giorno, è il giorno di tutti coloro che combattono per i propri diritti. I talebani non mi ridurranno mai al silenzio e non uccideranno i miei sogni".

Oggi non è il mio giorno...
Noi, nati in una condizione migliore dei 50 milioni di bambini che, secondo un’indagine di Save the children e Unesco, non hanno diritto all’istruzione e che spesso sono arruolati in eserciti di guerriglieri o penosamente sfruttati nei mercati della prostituzione, a chi dedicheremo il nostro giorno? Continueremo a tenerlo solo per noi? Continueremo a vivere nell’indifferenza? A volare basso?
Sarebbe bello, ogni mattina, svegliarsi con un sorriso di riconoscenza nei confronti della vita e poter dire: oggi non è il mio giorno, ma il giorno...

venerdì 17 ottobre 2014

Il mondo dei bambini

E’ bello il mondo dei bambini...
La fantasia è la padrona assoluta e sognare è semplice, anche ad occhi aperti.
Sì, è bello il mondo dei bambini.
La meraviglia per le scoperte quotidiane, la voglia di imparare ogni giorno qualcosa in più, magari per colmare un po’ la distanza dal mondo degli adulti, il desiderio di conoscere e di vivere tutto in pienezza, attimo per attimo. Tutto questo sembra sconfinato.
E’ bello il mondo dei bambini. Lo troviamo riflesso nell’immaginario costruito attraverso tanti strumenti, dove fantasia, arte e tecnologia si incontrano e si fondono, che attraverso quella denominazione, ormai obsoleta e irreale, ma ancora dolce da sentire, i “cartoni animati” permette agli adulti di accumulare un bel po’ di soldi (le attività di marketing basate sui desideri dei bambini sono una delle principali fonti di guadagno), e permette ai bambini di continuare a sognare che il mondo intero sia bello. Come il loro.
Hai presente i paesaggi dei cartoons ? Non sono bellissimi? Non mi riferisco solo ai fantasiosi castelli delle favole, ma anche alle altrettanto fantasiose raffigurazioni delle nostre città.
Le strade pulitissime, i muri per nulla imbrattati che riflettono il sole in mille colori pastello. Un caleidoscopio di luci che rende più buone anche le persone. Tutti sorridono ed anche il personaggio più triste e scorbutico, il “Brontolo” della situazione, prima o poi sarà costretto a cedere e diventare buono e cordiale... perché non c’è spazio per la tristezza in un mondo come questo.
Le attività quotidiane non sono pesanti: tutti hanno un lavoro che amano o riescono a realizzare i propri sogni; anche andare a scuola non sembra poi così terribile o noioso.
Tutto è bello, tutto e buono. E’ bello il mondo dei bambini.

Ma poi cresci. Ed hai quattordici anni. Esci di casa e guardi intorno a te, e nulla è come hai immaginato fino ad ora. Hai percorso queste strade tante volte e non ti eri mai accorto che sono l’immagine in negativo di quanto hai visto in tv, di quanto ti hanno fatto vedere.
Le strade sono sporche, i muri imbrattati, la gente nervosa, triste e scontrosa. Chi ha perso il suo lavoro, (che svolgeva con fatica, nonostante non gli piacesse, perché a casa i figli hanno fame), sa che trovarne un altro è un’impresa impossibile. Dovrà sottostare a gente pronta a sfruttare il suo bisogno e dovrà ritenersi fortunato, e sarà un uomo forte,  se il pianto dei propri figli non lo spingerà a rivolgersi alle organizzazioni criminali. Vuoi che sorrida anche lui?  Non ce la fa.
E’ questo il tuo mondo reale. Allora che fai?
Guardi il tuo scooter nuovo, che tuo padre, carrozziere, è riuscito ad acquistarti con sacrificio. Ti piace. E’ bello con i suoi colori scintillanti. Una goccia di bellezza in un deserto di degrado. Ci tieni che rimanga com’è, nuovo e luccicante. Lo hai fatto spesso... lo porti al lavaggio, con qualche euro brillerà di più.
Ma quello che ti aspetta non c’è fantasia che riesca a crearlo.
Tre uomini ti girano attorno, li conosci, li hai visti tante volte perché sono del tuo stesso quartiere, ti prendono in giro, “sei grasso” ti dicono “enorme”, “ciccione di m...”. Le loro parole ti fanno sentire sbagliato, almeno in questo mondo, sei sbagliato! Perché qui non si deve essere grassi, né troppo delicati, né effeminati... abbiamo altri schemi, altri modelli da seguire. Ci vogliono muscoli, un carattere rude o spavaldo, e soprattutto non devi stare solo, devi appartenere a un branco. Loro non sono soli, tu sì. “Sei talmente grasso”, dice uno di loro “che adesso ti pulisco come un tappetino”. E tu sai che si chiama Vincenzo, proprio come te. “Vieni grassone, che ti gonfio ancora un po’!”, continua, tra le risate degli altri due del branco e l’indifferenza di chi sta attorno. Poi ti afferra, ti abbassa i pantaloni e ti soffia dentro con la pistola dell’aria compressa. Vomiti sangue... non riesci più a vedere nulla... il dolore e lancinante... il buio.
Ti risvegli in un posto diverso, una stanza silenziosa, con luci soffuse, pareti pulite. Sei disteso su un letto, anche le lenzuola sono pulite. Hai un tubicino al naso e c’é un sottofondo fatto di ronzii e beep. Riconosci la stanza di un ospedale. Riconosci la persona al tuo fianco. Finalmente un viso amico. “Mamma, che è successo?, perché mi prendono in giro? perché mi hanno aggredito in quel modo? perché mi fa tanto male la pancia?”.
Non sai. Non puoi sapere. Ti hanno lacerato l’intestino. Ti hanno lacerato l’anima.
Ma il perché non è dato saperlo, né a te né tutti quelli che si  pongono questa domanda.
Sei dispiaciuto perché dovrai saltare una partita di calcetto, la tua passione, insieme al Napoli. Non sai del rischio di non poter giocare più.
Ma con la mamma accanto stai meglio. Ti ritorna il sorriso.
L’altro Vincenzo è in carcere. Ventiquattro anni e una bambina di due, nessun lavoro per poterla mantenere. Una continua metamorfosi, ora vittime ora  carnefici, sì, ora vittime ora carnefici. Avrà il coraggio di dire a sua figlia, che guarda i cartoni, che il mondo fuori è talmente diverso?

Quale mondo ci aspetta domani?
Il mondo del grande e piccolo schermo è bello,ma non è reale.  Ben altro tipo di “cartoni animati” troviamo nelle stazioni e sotto i portici della nostra città: abitazioni di cartone, vestiti di cartone, letti di cartone... l’indifferenza genera mostri (veri!) e nessuno può prevedere chi sarà la loro vittima.
I bambini hanno diritto a sognare... perché questo diritto deve esserci negato quando cresciamo? Perché non possiamo immaginare un mondo diverso, senza indifferenza, senza odio, senza violenza, senza prevaricazione?
E’ bello il mondo dei bambini. Il nostro potrebbe esserlo.

venerdì 10 ottobre 2014

come tutto ebbe inizio

Il viaggio non è molto lungo. Circa tre chilometri percorsi in compagnia sulla linea 101, poi un tratto a piedi e facciamo in tempo a girare l'angolo per ritrovarci in un altro mondo. L'Africa è qui, l'Asia è qui, ma soprattutto  Palermo è qui, in una cartolina diversa, insolita per la maggior parte di noi, forse volutamente ignorata.
Oggi siamo qui, nel cuore della città antica, quartiere dell'Albergheria, a due passi dal famoso mercato di Ballarò. Piazza Santa Chiara, 11, per essere esatti.
Un po' di incertezza e le domande di rito: che faremo oggi? A che ora finiremo? A che ora si mangia?
Sì perché per ora l'unica sicurezza di cui siamo in possesso è che non faremo la fame visto l'abbondanza di vivande collezionata sui tavoli e nel frigo della sala mensa.
Aspettiamo un po', poi veniamo invitati ad accomodarci in una sala dell'antico monastero per dare inizio ai lavori.
"Che siamo venuti a fare?", l'esordio del don.
Già, che siamo venuti a fare? Dovresti dircelo tu... ci hai convocati, ci hai portati qui, ci hai promesso un'esperienza intensa, ci hai detto di prepararci a viverla con impegno ovvero di rimanere a casa, ci hai invitato a preparare cibo non pensando solo a noi ed ora... ci chiedi "che siamo venuti a fare?".
"Quanti tra voi pensano che siamo qui solo per saltare una normale giornata di scuola?". Timidamente si sollevano un paio di mani. Non di più.
Altri attendono. "Prima o poi ci direte che cosa siamo venuti a fare qui!".
E finalmente si inizia. In cuor suo qualcuno spera intensamente che non si tratti del solito polpettone... teorie, belle frasi e insegnamenti sdolcinati che toccano il cuore per poi lasciarlo alle sue quotidiane mansioni.
Vediamo un video. Ci sta... meglio delle prediche. Ed ecco il primo colpo basso. Il montaggio non sarà un capolavoro tecnologico ma pochi possono sfuggire alle sollecitazioni dei suoi contenuti.
Alcune frasi tratte dal vangelo (quelle del "Gesù che ci piace"), legate ad alcuni stralci del film Patch Adams, e rielaborate in un filmato sulla forza rivoluzionaria dei piccoli gesti, ci hanno messo davanti al tema di oggi: il SERVIZIO.
Le suggestioni sono forti. A certe cose spesso non pensiamo. Forse ci hanno abituato un po' troppo a guardare noi stessi.
E gli altri? Gli altri, forse, li viviamo spesso come un problema, una difficoltà.
"Guarda oltre, Patch! Se ti concentri sul problema non arriverai mai alla soluzione!".
Per alcuni di noi è stato come liberarsi da un torpore, svegliarsi da un sonno profondo...
Abbiamo appreso che ci può essere un modo diverso di guardare il mondo dietro l'angolo.E' possibile andare oltre se stessi e vincere i pregiudizi.
Se il mondo non ci piace, se la società in cui viviamo non ci sembra ospitale, se l'altro che ci passa accanto ci fa paura, se siamo infastiditi da tutto il male che ci viene riversato addosso dai notiziari e abbiamo spesso puntato il dito contro tutto e tutti perché nessuno fa niente, è arrivato il momento di chiedersi "ed io?".
Così, a poco a poco, abbiamo compreso il senso del servizio, del mettersi a disposizione degli altri, dell'amore che si fa concreto, che si fa vita.
Lite motiv di una saggezza antica, unico vero segno di identificazione del cristiano... Gesù ce l'aveva detto: "vi riconosceranno da come vi amerete", non dai discorsi che faremo, dai simboli che portiamo addosso, dai riti che celebriamo. Senza l'amore tutto è vano. Come suonano forte le parole di Paolo:

"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!" (1 Cor. 13,1-3;13).

Il servizio è amore. Questo abbiamo capito. Non si limita a dare una parte del nostro tempo agli altri, ma diventa uno stile di vita. Io guardo gli altri, ascolto gli altri, sto con gli altri, vivo con loro.
E quando sembra che sia un dare a fondo perduto, ci accorgiamo di un rientro inaspettato. Perché il mondo attorno a noi piano piano cambia. E noi con lui.

E sono arrivate le testimonianze! Caterina, Salvo, Don Dario, nella loro semplicità, con i loro volti sorridenti ci hanno parlato della loro vita, della loro "normale quotidianità" vissuta accanto agli altri e per gli altri, soprattutto per i più bisognosi. Il servizio nella carità è diventato la bussola che ha orientato anche la loro scelta di vita: medico, assistente sociale, religioso... ogni professione, ogni scelta di vita, rientra in un progetto più grande che investe ciascuno di noi e che prima di chiederci "cosa farai da grande?" ci invita a rispondere alla domanda "chi vuoi essere da grande?".
La risposta non verrà dal guardarci allo specchio. Anche questo abbiamo capito. La risposta sta lì, in quel mondo dietro l'angolo.
Ci ha conquistati. Gli sguardi dei bambini presenti a Santa Chiara, i loro sorrisi, la loro allegria, sono stati la vera "predica" di questa giornata di riflessione. Se a nulla fossero serviti i discorsi, pochi minuti di contatto con quegli occhi, quei sorrisi e quelle manine tese hanno donato un'esperienza incredibile che alcuni tra noi hanno cercato invano di descrivere a parole.

Finalmente il pranzo! Ci rilassiamo un po' in vista di un pomeriggio che si preannuncia ancora carico di emozioni.
E' un bel momento di condivisione. Sembra quasi respirare un po' di "voglia di mettersi a servizio", già qui tra di noi, tra il cibo (buonissimo!!!), le battute, i sorrisi.
Si respira un'aria particolare.

La giornata non è finita.
C'è tempo per giocare (rigorosamente insieme!) e scambiare qualche parola tra noi. Chissà, forse alcuni si confrontano proprio su quanto stanno vivendo oggi, su quanto pensano di poter fare a partire da domani.

Il calendario dell'avvento

Avvento, tempo di attesa. Tempo di attese. Sono tante le attese che ognuno di noi porta nel proprio cuore. C’è chi spera in un domani miglio...