il blog del Don Bosco Ranchibile

domenica 28 dicembre 2014

Dammi il tuo cuore

Come faccio a toccare il cuore di Dio?
Prenditi quindici minuti di tranquillità, guarda e (soprattutto ascolta) questo video...
scoprire che Dio, che ci ama in modo infinito, si aspetta da noi meno di quanto pensiamo è semplice e sorprendente.
Egli non aspetta,  infatti, che facciamo qualcosa o che abbiamo qualcosa.
Aspetta noi. E nient'altro.

giovedì 25 dicembre 2014

Buon Natale!

L'annuncio del Natale è annuncio di vita, di gioia,  di creatività,  di speranza,  di affetto,  di amicizia,  di amore irruente che trasforma la storia e l'esperienza umana. Annuncio di una grande gioia che cambia la monotonia e l'uniformità della vita e le dà un senso e una speranza che la trasformano dall'interno.
(Carlo Maria Martini)

Speranza, pace e gioia.
Perché siamo "gli uomini che Egli ama". Nessuno è escluso.
Buon Natale!

martedì 16 dicembre 2014

L'amore è invisibile

Stabilire chi sia il bambino più buono d’Italia sembra che sia un problema sentito in tempi come i nostri.
In effetti, quando tutto sembra non voler andare per il verso giusto, rivolgersi al mondo dell’innocenza può apparire un tentativo interessante. Potremmo considerarlo come l’espressione di un desiderio inconscio di tornare indietro, ad un mondo che prima è stato anche nostro e che, improvvisamente abbiamo abbandonato, come un giocattolo rotto e inutile. Abbiamo avuto cose più importanti a cui pensare!
Ne troviamo tanti di bambini buoni e bravi. Quelli che “diventano famosi”, (come amano essi stessi dire scherzando), hanno casualmente ricevuto un’attenzione maggiore da parte di qualche adulto che si è premurato di segnalare il nome a qualche associazione ONLUS che ogni anno indice concorsi a premi, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica su un ancora possibile “mondo migliore”.
Fa sorridere la loro sorpresa nel constatare di non aver mai pensato di aver fatto qualcosa di speciale o di straordinario, di sentire di aver solamente fatto qualcosa di semplicemente normale che tutti potrebbero e dovrebbero fare. Già, tutti!
Cosicché, in realtà, tra loro, questi bambini non si contendono alcun titolo. Penso proprio che la preoccupazione sia più degli adulti che stanno accanto a loro...
Ecco perché se cercate sulla rete “la bambina più buona d’Italia nel 2014” (che, tra l’altro, non è ancora finito), ne trovate più di una.
Ciò non toglie, tuttavia, che questi bambini, qualcosa da insegnarci ce l’hanno davvero e che forse il senso del messaggio di Gesù, “se non diventerete come i bambini non entrerete nel Regno dei cieli”, sta tutto qui.
Maggio 2014. L’arciconfraternita di sant’Antonio di Padova, proprio nella città del santo, con una celebrazione e una cerimonia solenne ha voluto conferire  un premio ad una bambina di 5 anni di nome Aurora.
La piccola, ricoverata presso la clinica di oncoematologia di Padova, per il suo quinto compleanno ha chiesto di ricevere soldi e non regali. Poi ha preso il suo salvadanaio e si è fatta accompagnare presso la sede di Team for children, l’associazione che la segue e ha donato tutto «per aiutare i bambini del reparto che sono meno fortunati di me».
«Non ci aspettavamo tutto questo», dice la mamma, Valentina, «perché quello di Aurora è stato un gesto fatto con il cuore, senza volere nulla in cambio».
Il direttore della clinica, Giuseppe Basso, dice: «Aurora è il simbolo di tutti i nostri bambini, che entrano in un mondo strano, in cui perdono i capelli, in cui convivono dolore e sofferenza, ma anche gioia e successi, e in cui tutti partecipano alle vite degli altri pazienti».
Un altro premio, di carattere nazionale, alla “bambina più buona d’Italia” è stato assegnato in questi giorni a Giorgia Musumeci, una piccola alunna di 6 anni della scuola elementare “Giovanni Paolo II” di Terracina.
Giorgia con la sua sensibilità e la sua generosità è diventata un punto di riferimento importante per una compagna di classe, Alessia, con difficoltà motorie e comunicative. Ha compreso immediatamente che la sua presenza, il suo affetto, le sue coccole potevano essere importati per la vita della compagna meno fortunata ed è diventata il suo riferimento per le difficoltà quotidiane.
Nelle interviste Giorgia continua a dire: “Non ho mai pensato di fare cose straordinarie; è una mia amica e stiamo bene insieme!”.
Uno straordinario insegnamento per noi adulti che continuamente ci lasciamo coinvolgere da pregiudizi e che sull’argomento “integrazione” facciamo ancora tanta teoria ma pochissima pratica!
L’amore, quello vero, si muove nelle piccole cose. Il nostro Dio ama le piccole cose; alle piccole cose dà importanza.
L’amore, quello vero, non vive di teorie, per quanto alte e straordinarie.
Nei piccoli gesti della quotidianità, e nell’amore che esprimiamo in essi, ci giochiamo il senso della nostra esistenza.
Non importa che sia lunga o breve, la nostra esistenza. Ciò che importa e che sia piena, intensa, unica.
Nessuno verrà a chiederci il permesso per porre la parola fine.
Nessuno si sentirà in dovere di aspettare che il concerto sia finito.
Il tempo per amare gli altri non contempla il futuro, ma solo il presente.
L’amore è invisibile” è il titolo dell’ultimo album di Mango.
Di questo artista abbiamo apprezzato il talento, la voce particolare, l’animo del poeta che coglie il senso delle immagini semplici a cui troppo spesso facciamo l’abitudine: il sole, il mare, l’acqua, la rondine, il pane, la bellezza di sentirsi amati e il non trovare le parole per esprimerla...
Ci ha lasciato in modo inaspettato. Ha fatto in tempo a darci un’ultima semplice lezione: “Le sue ultime parole sono state “scusate”: in un’epoca dove nessuno si scusa mai, è l’ultimo insegnamento di un uomo e di un artista che no ha mai urlato per farsi ascoltare”. (cit. Famiglia Cristiana).
Che la forza dell’amore può cambiare in profondità l’intero universo, e persino il nostro modo di percepire Dio... beh, leggiamo questa piccola poesia:


Una canzone ferita
Una canzone ferita
zittisce il cielo,
ma un’amicizia nuova
propone un coro di angeli.
(Mango)

giovedì 4 dicembre 2014

Foto ricordo.


E’ un crocevia di immagini, sentimenti e concetti straordinari quello che, in modo soft, interessa la nostra vita in questi giorni. Proprio il suo carattere delicato, però, potrebbe non attirare la nostra attenzione più di tanto e lasciarci inconsapevoli della sua portata storica e metastorica. Vediamo di mettere in luce i punti focali: avvento, Immacolata, attesa, speranza, dialogo e abbraccio.
Siamo entrati nella prima settimana di avvento, termine che indica attesa e che ci proietta alla ormai prossima ricorrenza del Natale.
Ci prepariamo anche a vivere il nostro primo tradizionale appuntamento con una festa liturgica mariana, tanto cara a Don Bosco e alla famiglia salesiana: la festa di Maria Immacolata.
Dal 28 al 30 novembre Papa Francesco ha svolto un viaggio apostolico in Turchia.
Nel frattempo noi siamo sempre affaccendati ad affrontare le nostre preoccupazioni quotidiane, fatte di questioni più o meno importanti da risolvere.
Dal canto loro, i mass media continuano a martellarci con il loro carico di negatività (non c’è niente che va bene!) e con i relativi inviti all’evasione (è l’unica via d’uscita... fate di tutto per non pensare!).
Per trovare un punto in comune tra tutti questi elementi non è il presente che dobbiamo interrogare, ma è necessario fare un salto nel passato, (un viaggetto di duemila anni circa), e recarci in una stanzetta al primo piano di una casa di Gerusalemme, per trovare la chiave di decodificazione di questi eventi attuali.
Questa la cronaca dell’evangelista Luca:
“Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui”.  (Atti 1,12-14)
Gli apostoli avevano ricevuto da Gesù l’ordine di non allontanarsi da Gerusalemme perché lì avrebbero dovuto attendere lo Spirito Santo. Ed eccoli dunque in attesa e con essi c’è anche Maria. E l’ultima volta che sentiamo parlare di lei nella Scrittura, e la troviamo in attesa come all’inizio del racconto evangelico.
In una bellissima riflessione di Mons. Tonino Bello, Maria viene descritta come la "donna dell’attesa”. Pagine bellissime di cui voglio donarvi un assaggio:
“Vedete allora che Maria, nel Vangelo, si presenta come la vergine dell’attesa e si congeda dalla scrittura come la madre dell’attesa: si presenta in attesa di Giuseppe, si congeda in attesa dello Spirito. Vergine in attesa, all’inizio, Madre in attesa, alla fine. E nell’arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l’altra così divina, cento altre attese struggenti. L’attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L’attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L’attesa del giorno, l’unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L’attesa dell’ora: l’unica per la quale non avrebbe saputo frenare l’impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L’attesa dell’ultimo rantolo del figlio inchiodato sul legno. L’attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia. Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito”.
Oggi stiamo disimparando il gusto dell’attesa. Viviamo in schemi prestabiliti, geometricamente perfetti, con orari ed impegni improrogabili e non sappiamo più attenderci nulla. Siamo nel tempo del tutto e subito... dell’attesa non viviamo più gli aspetti  più belli né quelli più dolorosi.
Ma la cosa peggiore è quando si arriva a non attendersi più nulla dalla vita. Quando viene meno la speranza e tutto sembra ormai inutile.
Non è raro, ormai, sentire di storie senza attesa... non è raro, ormai, vivere noi stessi senza attese.
L’avvento allora si presenta come una provocazione. Ci dice che un motivo per sperare c’è, si chiama amore, perché chi ama sa aspettare.
L'avvento e il natale ci parlano proprio di questo, una storia d'amore straordinaria che ha come protagonisti un Dio follemente innamorato dell’uomo, tanto da decidere di farsi come lui, e un uomo che di questo amore ha un infinito bisogno.
L'amore cambia il cuore e cambia anche le persone. Per questo l'antica saggezza raffigurava gli amanti come persone trasformate da un dolce veleno, colpite dai dardi di un dio.
E di amore oggi c'è un immenso bisogno.
Siamo stanchi di storie tristi, senza amore e senza senso. Siamo stanchi di scene di odio e di violenza, motivate da pseudoteologie. Siamo stanchi di vedere il male accanirsi sui più deboli, sugli anziani e sui bambini.
Sì,  siamo stanchi di sentir parlare di bambini abbandonati,  o sfruttati, usati, abusati, violentati, uccisi...
Abbiamo bisogno di storie più belle.
Mi piace, a questo punto raccontarvi di un evento importante,  che potrebbe passare inosservato.  Mi piace richiamare la vostra attenzione su una foto notizia, una di quelle che fra qualche anno rivedremo sui libri di storia.
La foto mostra Papa Francesco che china il capo davanti al Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, e chiede benedizione per sé e per la Chiesa di Roma.
Il Patriarca ricambia questo gesto di umiltà con un eloquente gesto di affetto: un bacio sulla testa del Papa.
Qualcuno, commentando i vari momenti significativi che hanno caratterizzato il viaggio del Papa in Turchia, non ha lesinato rimproveri e critiche: come può il Papa, il capo della Chiesa universale, arrivare a tanto? Ha pregato in una moschea insieme ai musulmani, rivolto verso la Mecca, ha pregato con gli ortodossi, ha chiesto al loro massimo esponente la benedizione... non sta forse un tantino esagerando? Non sta forse umiliando eccessivamente, nella sua persona e nel suo ruolo, tutta la chiesa cattolica? Gli altri non hanno mai fatto dei passi simili nei nostri confronti...
Non è mia intenzione partecipare a una disputa teologica. Lascio spazio a chi vive di queste velleità.
Non credo, tuttavia, che arroccarsi dietro principi, leggi, dogmi, o pretendere che siano gli altri a fare il primo passo, sia un insegnamento che ricaviamo dal vangelo. Quante critiche piovevano su Gesù perché parlava con i romani, con la donna samaritana, con i pubblicani, con le prostitute... quanto scandalo provocava l'immagine di un maestro che lava i piedi ai suoi discepoli. No, Gesù non ci ha detto di fare rispettare la nostra autorità,  ma di rendere autorevole il nostro servizio,  fatto con amore sincero.
Duemila anni fa, in quella stanzetta al primo piano, a Gerusalemme, insieme a Maria, c'era Pietro e c'era anche Andrea, suo fratello. Il primo avrebbe avuto la responsabilità della Chiesa di Roma, il secondo della Chiesa d'Oriente.
Oggi come allora si potrebbe scrivere "erano assidui e concordi nella preghiera".
Perché da troppo tempo rimane disattesa la preghiera di Gesù: "Padre, fa che siano una cosa sola, come io e te siamo una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato", e il suo insegnamento: "da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete come io ho amato voi".
Allora avremo una Chiesa credibile. Allora testimonieremo un Dio credibile.
Non dimenticate questa foto, ragazzi. È un grande messaggio per ciascuno, un insegnamento importante. Ci si può amare nel rispetto delle differenze.
Sia questa la nostra principale attesa. Perché se nel mondo non cresce la disponibilità ad amare e lasciarsi amare l'umanità non avrà alcuna speranza.
E il natale non avrebbe alcun senso.
O forse è già così?

mercoledì 26 novembre 2014

L'inferno di Schopenhauer


Arthur Schopenhauer è un filosofo tedesco (1788-1860), passato alla storia per il suo pessimismo, talmente intenso da coinvolgere non solo il genere umano, ma tutto l'universo, e definito per questo "pessimismo cosmico". Prendendo spunto anche da alcuni studi di carattere letterario, Schopenhauer  arrivò a proporre questa suggestione: è più semplice inventare una descrizione dell'inferno che del paradiso, poiché di immagini infernali siamo circondati quotidianamente, mentre il paradiso richiede un supplemento di fantasia. Tale difficoltà avrebbe interessato lo stesso Dante, che avrebbe composto la sua prima cantica rifacendosi a immagini realistiche (vedi ad esempio l'incontro con il conte Ugolino), mentre per scrivere il Purgatorio e soprattutto il Paradiso ha dovuto inventarsi tutto.
Non c'è Paradiso attorno a noi.
C'è poca affinità tra i miei pensieri e quelli di Schopenhauer. Non avverto la sua energia negativa e pessimistica, né condivido il suo ateismo senza speranza. E tuttavia non posso negare che anche a me risulta tanto difficile trovare intorno a noi immagini che possano essere considerate una piccola e sbiadita anticipazione di paradiso. Se ci sono, sono poche.
Di contro siamo frastornati di racconti di carattere "infernale" che fatichiamo ad accettare come veri. Ci sembrano troppo oltre ogni possibile immaginazione.
La notizia è di due giorni fa e riguarda Palermo. Era su tutte le agenzie di stampa e quotidiani  online... ne ho scelto uno a caso:
E' morta la neonata trovata con il cordone ombelicale ancora attaccato in un cassonetto dei rifiuti di via Ferdinando Di Giorgi, in zona Uditore, a Palermo. A dare l'allarme ai carabinieri una passante allertata da un clochard che rovistando tra i rifiuti, aveva notato le gambine della piccola tra i sacchetti. La bambina, con ogni probabilità nata all'alba di oggi, era dentro una borsa sportiva rossa, insieme con una scarpa da adulto e un paio di forbici, utilizzate probabilmente per recidere il cordone ombelicale.
La piccola, che aveva i vasi del cordone ombelicale aperti, era in condizioni disperate ed è stata soccorsa d'urgenza dal 118. I sanitari dell'ospedale Civico hanno tentato invano di rianimarla, ma la piccola è morta. Indagini sono in corso per scoprire l'autore dell'orribile gesto: gli investigatori stanno visionando le immagini delle telecamere di sorveglianza della zona. La procura ha aperto un'inchiesta e il magistrato di turno ha disposto l'autopsia.
"Abbiamo fatto di tutto per riuscire a rianimarla e a salvarla, ma purtroppo quando è arrivata all'ospedale Civico era già morta. E' così piccola e indifesa...", racconta uno dei sanitari che hanno soccorso la piccola. La piccola è stata anche intubata in ambulanza ma non è servito a niente. E' arrivata in ospedale già cadavere. (fonte Repubblica.it)
Questa non è Sparta del 500 a.C., questa è Palermo del 2014. Questo è sempre il mondo delle contraddizioni. Quel mondo dove alcuni affermano che un bambino è un diritto, e non un dono, e altri ritengono che un bambino è un problema, e non un dono.
È il mondo dei benpensanti e dei giudizi facili; è il mondo delle apparenze da salvare ad ogni costo, il mondo dove basta chiudere gli occhi per essere a posto con la coscienza.
Ma con la coscienza ci troviamo comunque a fare i conti e spesso, se abbiamo il coraggio di affrontarne gli interrogativi, avvertiamo che il suo peso non è determinato da ciò che abbiamo fatto ma da quello che non abbiamo fatto.
Fra qualche giorno vi sarà data la possibilità di avvicinarvi al sacramento della riconciliazione. Ho la strana sensazione che di questo sacramento non abbiamo più capito nulla, che l'abbiamo ridotto ad una lavanderia spirituale che può aiutarci a stare un po' meglio per un tempo sempre più breve. Proprio come quando indossiamo un capo pulito e profumato o ci infiliamo sotto delle lenzuola fresche di bucato. A questo abbiamo ridotto il "sacramento" dell'incontro, dell'abbraccio,  dell'amore tra padre e figlio. È una conseguenza scontata non avvertirne più l'importanza, tanto siamo stati capaci di banalizzarlo.
Quali domande sono adatte per prepararci a questo incontro?  Una sola: quanto amore c'è in me?
Nessuna lista, nessun catalogo delle colpe può avere lo stesso valore... quanto amore sento? Quanto sono disposto ad amare?  La partita della nostra vita si gioca tutta sull'amore. È la vera "partita del cuore".
Ricordate l'incontro di Gesù con Pietro dopo la resurrezione? Il Maestro non chiede al discepolo "quante volte mi hai tradito?", lo sa già. Vuole sentire il suo amore: "Mi ami tu?". E da quella dichiarazione di amore deriva l'invito di Gesù ad allargare i confini del cuore "prenditi cura di loro", occupati degli altri, impara a vivere per loro.
Il Card. Martini, riprendendo una frase di Gesù,  dice: "Quando alla fine della vita saremo interrogati sull'amore non potremo delegare la risposta alla Caritas".
È vero: se c'è un paradiso questo non è certo tra di noi. Ma la forza dell'amore che abbiamo sperimentato o che sperimenteremo ci dice che questo mondo non è ancora l'inferno.
Non abbandoniamo la speranza, perché Dio ci ama, anche se non ce ne accorgiamo, malgrado tutto.
Il mondo può davvero cambiare se ci facciamo coinvolgere da quella domanda: "mi ami tu?".
Sì, il mondo può essere migliore.
Con buona pace di Schopenhauer.

mercoledì 19 novembre 2014

Il principio di contraddizione

Personalmente non l'abbiamo mai dimenticata quella domanda, dalla prima volta che una maestra ce l'ha posta alla scuola elementare; sono cambiati i programmi, sono cambiati i metodi di insegnamento e, soprattutto, di studio, ma rimane sempre un classico e riviviamo anche la sottile e piacevole sensazione che, quando siamo stati in grado di rispondere abbiamo avuto la prova di aver fatto un passo verso la maturità intellettiva: qual è la differenza tra l'uomo e l'animale?
Sin dalla prima volta, non abbiamo nutrito dubbi, fin troppo semplice: la ragione.
Crescendo ed affinando la nostra capacità di indagine e di riflessione, abbiamo ritenuto opportuno integrare questa prima e semplice intuizione con nuovi elementi, magari suggeriti dall'esperienza e (perché no?) dai nostri studi: i sentimenti, dice qualcuno, ma qualche animalista storce le labbra... la coscienza, la consapevolezza che deriva dalla riflessione, la spiritualità... e più gli studi si fanno seri, più l'analisi diventa profonda.
Ma non è necessario scomodare grandi luminari in scienze umanistiche per individuare un'altra straordinaria differenza che allontana drasticamente l'uomo dal mondo animale (del quale rimane comunque un autorevole esponente): la contraddittorieta.
Basta un piccolo viaggio, pochi minuti di navigazione sul web, poche pagine di un quotidiano sfogliate distrattamente addentando una briosche, poche immagini carpite da uno dei numerosi (spesso inguardabili) telegiornali.
Il 12 e il 13 novembre scorso due notizie venivano affiancate, quasi a sottolineare il duro contrasto generato da una umanità schizofrenica, capace di raggiungere livelli altissimi e di toccare gli abissi più profondi.
Anche i nomi ci ingannano: la grandezza dell'uomo viene raccontata da un nome semplice, un nome di donna e di un fiore, Rosetta. Oggi questo nome ci parla di passione, volontà e determinazione. Ci parla di un lavoro intenso, durato anni, che ha coinvolto molte persone di paesi diversi, accomunate dal desiderio di vedere l'umanità infrangere i suoi limiti e tentare la conquista dell'universo.
La sonda Rosetta, dell'Agenzia Spaziale Europea, partita dalla Terra nel 2004, ha sganciato il suo lander, Philae, che si è posato su una cometa, la 67/P Churyumov-Gerasimenko, a cinquecento milioni di distanza dal nostro pianeta.
Da Philae sono arrivate le prime foto, i suoni della cometa, e presto dovrebbero arrivare i risultati delle analisi fatte su parti del suolo.
Straordinario! "L'hai fatto poco meno degli angeli!", dice il Salmo 8. E parla dell'uomo.
Ma un altro nome, lo stesso giorno, circola accanto a quello di Rosetta. È quello di Tor Sapienza. Stavolta, a dispetto del nome, l'immagine dell'uomo che ne viene fuori non è certo delle migliori. In questo quartiere periferico della città di Roma da più giorni si combatte una guerriglia che vede coinvolti gli abitanti del posto, le forze di polizia e un gruppo di immigrati stipati dentro un centro di accoglienza. Una guerra tra i poveri che è frutto di anni di indifferenza, incuria, insensibilità ed egoismo. Una guerra che lascia l'amaro in bocca. A farne le spese sono sempre gli ultimi, indipendentemente dal colore della pelle, dal paese di origine, dall'appartenenza religiosa o dalla fede politica.
E proprio nel mondo della politica si continua a fare orecchi da mercante e, tra passerelle e provocazioni, il grido dei disperati rimane inascoltato. E si trasforma in rabbia, in violenza.
A che serve la storia, ragazzi miei, a che serve tutta la scienza, se nulla cambia? A che serve sognare in grande se nell'aria non s'arresta l'eco delle parole di Quasimodo "Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo... T'ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta".
La mia generazione può raccontare il progresso. Ne ha registrato una sconvolgente accelerazione negli ultimi anni.
Avevo solo due anni quando un uomo saltellava sulla Luna e tutte le televisioni trasmettevano quelle immagini in bianco e nero alla gente stupita; ho visto in diretta le prime missioni dello Shuttle, con le sue partenze più volte rimandate; i rover che esplorano Marte in vista di una probabile visita umana suscitano ancora oggi curiosità e fantasia; ho visto l'atterraggio di Philae sulla cometa insieme a mia figlia che qualche giorno prima mi aveva chiesto: "Papà, cos'è una macchina da scrivere?".
Come si può non amare l'uomo che ha fatto tutto questo?
Ma è comunque difficile accettare che "l'uomo del mio tempo", che è stato in grado di cambiare il mondo, di governare la natura, di fare grandi passi nella conquista dell'universo, non sia riuscito a fare un piccolo passo verso il fratello, non sia riuscito a conquistare il suo cuore.
E torna ancora il suono di quelle parole:
"...senza amore, senza Cristo".
Per lo sviluppo della scienza contribuisce un numero limitato di uomini.
Per lo sviluppo della coscienza è necessario il contributo di tutti e di ciascuno.
Anche il vostro

Il calendario dell'avvento

Avvento, tempo di attesa. Tempo di attese. Sono tante le attese che ognuno di noi porta nel proprio cuore. C’è chi spera in un domani miglio...