Sabato mattina, festa di tutti i santi, Papa Francesco celebra la messa al Verano, il cimitero di Roma. Riprende le parole della prima lettura, in cui si parla del potere dato agli angeli di devastare la terra. E dice: «Gli uomini sono capaci di farlo meglio. Noi uomini siamo capaci di devastare la terra meglio degli angeli, questo lo stiamo facendo. Siamo capaci di devastare la terra, la cultura, la speranza. Quanto bisogno abbiamo della forza del Signore perché ci sigilli con il suo amore e la sua forza per fermare questa pazza corsa di distruzione. Distruzione di quello che Lui ci ha dato, delle cose più belle che lui ha fatto per noi perché noi le portassimo avanti, le facessimo crescere, dare i frutti».
Riferendosi poi al bombardamento che durante la seconda guerra mondiale ha distrutto il quartiere dove sorge il Verano aggiunge: «è stato tanto grave e doloroso, ma è niente in comparazione a quello che oggi accade. L'uomo si impadronisce di tutto, si crede Dio, si crede re. E le guerre che continuano, non precisamente a seminare grano di vita, ma a distruggere, è l'industria della distruzione, è un sistema anche di vita che quando le cose non si possono sistemare si scartano: si scartano i bambini, gli anziani, i giovani senza lavoro, questa è la devastazione che ha fatto la cultura dello scarto: si scartano i popoli».
Possibile, mi sono detto, che tutto vada così male? Possibile che non si possa trovare un po' di serenità nel leggere i giornali, nel guardare la televisione... possibile che non ci siano uomini buoni?
Cosi mi sono messo al computer con tutte le buone intenzioni per fare un'accurata ricerca sui giornali online ed individuare qualche "buona novella" dei nostri giorni. È stata una piccola ma reale impresa perché sembra che il bene non faccia notizia, che non sia degno di nota, non stimola la nostra curiosità e pertanto non merita troppo spazio.
"Metto a disposizione il forno della mia taverna per i rom", leggo in un primo titolo. "Ecco", ho pensato, "si tratterà di una persona generosa che concede ai rom di usare i suoi spazi, il suo forno... per fare magari il pane". Niente di più lontano dalla verità. La consigliera comunale Massimilla Conti, di Motta Visconti, provincia di Milano, intende tutt'altro quando scrive sul suo profilo facebook: «Se tra i cani ci sono razze che vengono più predisposte a aggredire, perché non ammettiamo che i rom sono più portati a commettere certi reati?». E continua: «Ci vorrebbero i forni… metto a disposizione la mia taverna. Se vedete del fumo strano che esce dal tetto non vi preoccupate».
E noi che pensavamo di esserci liberati dallo spettro del razzismo, di essere ormai lontani anni luce da certi pregiudizi! Scriviamo su qualsiasi motore di ricerca parole come rom o zingari e ci renderemo conto di esserci sbagliati.
Di più: quanto sottile è il limite che ci conduce a giudicare gli altri con gli stessi parametri. Perché si fa presto a convincerci che non c'è alternativa, che è necessaria ed inevitabile la distinzione netta tra noi e gli altri e che la "tolleranza" dell'illuminista Voltaire e "l'amore" cristiano altro non siano che due sfumature della medesima utopia.
Ora mi chiedo: a cosa è servito abbattere il muro di Berlino se continuiamo a costruire barriere invisibili ancora più alte e più forti?
Si incentivano le politiche della paura piuttosto che le politiche della speranza.
Diversità e paura sembrano legarsi nelle nostre storie ordinarie, quelle di tutti i giorni, e nei commenti che facciamo, come osservatori o come partecipanti.
Cito testualmente una pagina dell'interessante saggio di Salvatore Veca:
"Il razzismo è un opzional piuttosto diffuso tra noi, una volta che abbiamo, relativamente da poco, cominciato a metterci alla prova con gli effetti delle grandi migrazioni. La caccia al nero, ancora di moda. E qualche anno fa hanno anche pensato a fare le scuole separate per i figli degli immigrati. Dopo aver inventato il timbro per i ragazzini rom e aver dichiarato lo sgombero e lasciata inadempiuta la promessa civile delle residenze. Ed ecco, a proposito di razzismo, l'immortale commento di Sancho Panza: ≪Nel mondo ci sono solo due razze, quella di chi ha e quella di chi non ha≫. E di Mark Twain: ≪io non chiedo a che razza appartiene un uomo, basta che sia un essere umano, nessuno può essere qualcosa di peggio≫.
Avere e non avere, oggi, continua a fare la differenza e la crudeltà umana sembra davvero non avere limiti.
Un paio di giorni fa, la polizia locale di Milano ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare a carico di una decina di uomini di origine rumena, accusati di aver ridotto in schiavitù molti loro connazionali e di aver gestito il racket dell'accattonaggio nel capoluogo lombardo.
Uomini, in tanti casi con evidenti mutilazioni o handicap fisici, letteralmente comprati per poche centinaia di euro e costretti a chiedere l'elemosina ai semafori.
Quante volte le vittime della tratta degli schiavi sono state anche vittime dei nostri giudizi. Beffati due volte dalla vita e dall'insensibilità degli altri. Sono vive tante immagini impresse agli incroci della nostra città, nei viali del parco della Favorita... è vivo il suono di tanti giudizi affrettati.
Si può ancora pensare ad un futuro migliore?
Si può. Se riusciamo a vedere nell'altro non una minaccia, ma una risorsa. Se riusciamo a sostituire la paura con la speranza... come può fare un padre.
Perché una storia bella l'ho trovata. E ve la voglio raccontare.
È la storia di Yu Xukang, quarantenne contadino delle colline cinesi di cui hanno scritto tempo fa sul Corriere della sera. È la storia di un padre che ogni giorno percorre 18 miglia, (circa 29 chilometri), la metà dei quali con un ragazzino disabile sulle spalle perché non vuole che suo figlio perda anche un solo giorno di scuola. Per non fargli mancare quel prezioso momento di vita comune che noi spesso non sappiamo più apprezzare.
Ci sono uomini come Yu, ne sono convinto. Ce ne sono probabilmente tanti. Non fanno rumore. Quotidianamente fanno qualcosa di grande e magari non ne sono consapevoli. Nel silenzio di una vita semplice ci insegnano a non rassegnarci, a non rinunciare a puntare lo sguardo al futuro, anche quando il presente sembra non concedere alternative.
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