Wislawa Szymborska (1923-2012), poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura 1996, scriveva così, circa dieci anni fa:
Mantenere le distanze dai pensieri tossici e dai sensi di colpa.
Wislawa Szymborska (1923-2012), poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura 1996, scriveva così, circa dieci anni fa:
Mantenere le distanze dai pensieri tossici e dai sensi di colpa.
Sul tavolo davanti, c'era un uomo che aspettava di essere servito. Quando è stato servito, ho detto a uno dei miei soldati: vai a chiedere a quel signore di unirsi a noi. Il soldato è andato e gli ha trasmesso il mio invito. L’uomo si è alzato, ha preso il suo piatto e si è seduto proprio accanto a me.
Mentre mangiava le sue mani tremavano costantemente e non alzava la testa dal suo cibo. Quando abbiamo finito, mi ha salutato senza guardarmi, gli ho dato la mano e se n'è andato.
Il soldato mi ha detto:
Madiba quell'uomo doveva essere molto malato, visto che le sue mani non smettevano di tremare mentre mangiava.
Risposi: No, assolutamente! La ragione del suo tremore è un'altra.
Allora gli ho detto:
Quell'uomo era il custode della prigione dove sono stato. Dopo che mi torturava, urlavo e piangevo chiedendo un po ' d'acqua e lui veniva mi umiliava, rideva di me e invece di darmi acqua, urinava nella mia testa.
Non è malato, aveva paura che io, ora presidente del Sudafrica, lo mandassi in carcere e gli facessi quello che mi ha fatto lui. Ma io non sono così, questa condotta non fa parte del mio carattere, né della mia etica.
Le menti che cercano vendetta distruggono gli stati, mentre quelle che cercano la riconciliazione costruiscono nazioni.
Uscendo dalla porta verso la mia libertà, sapevo che se non mi fossi lasciato alle spalle tutta la rabbia, l'odio e il risentimento, sarei ancora prigioniero."
(Nelson Mandela)
La nostra libertà è in parte nelle mani degli altri. E in parte nelle nostre mani.
Meglio: nella nostra mente e nel nostro cuore.
“…sapevo, che se non mi fossi lasciato alle spalle tutta la rabbia, l’odio e il risentimento, sarei ancora prigioniero”.
Non importa se sei il presidente del Sudafrica o un comune cittadino di qualunque paese del mondo. Ciò che ti chiude in gabbia è tutto il male che ti porti dentro e di cui non riesci a liberarti.
Facile non è. Non lo è mai stato.
Ma non sembra che ci siano alternative.
Forse è proprio questo il più grande insegnamento che troviamo nel vangelo e nella testimonianza autentica di tanti cristiani: Gesù non si è vendicato, come una qualsiasi divinità del passato. Quelle divinità sembravano uomini maggiorati, potenziati.
Ma Gesù si presenta come un Dio diverso, libero dalle logiche umane, libero dal diritto dell’ occhio per occhio, libero di perdonare, anche quando sembra impossibile.
San Paolo ci dice che ciò che è impossibile per l’uomo non lo è per Dio.
Abbiamo pensato che si riferisse ai miracoli. Forse si tratta piuttosto di essere capaci di amare oltre ogni umana misura. Fino a perdonare i tuoi aguzzini, i tuoi carnefici.
Quest'anno abbiamo iniziato il nostro percorso formativo, con il buongiorno del sig. Preside.
Ci ha parlato di una figura straordinaria, Don Pino Puglisi, un uomo senza limiti perché libero.
Ha dato fastidio perché parlava del bene e per il bene. Questo sognava per i ragazzi che avvicinava: un mondo bello, nuovo, dove il male piano piano indietreggi e lasci spazio al bene.
Era, come ci ha detto il preside, un educatore.
Non è facile educare. Bisogna imparare a remare controcorrente, a subire qualche critica, se capita, a rimanere saldamente legato ai propri valori, anche quando la tendenza maggiore è la relativizzazione.
L’educatore ascolta e, quando è necessario, parla.
In questo senso il nostro percorso formativo prevede un momento, al mattino, chiamato “il buongiorno”.
Vi sarà data una parola, che può avere dei risvolti, oppure no.
Ma non importa: il seminatore sa già che non tutti i semi che sparge potranno portare frutto. Non per questo si arrende.
C’era una volta un narratore. Viveva povero, ma senza preoccupazioni, felice di niente, con la testa sempre piena di sogni. Ma il mondo intorno gli pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato d’anima. E ne soffriva.
Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un’idea. «E se raccontassi loro delle storie? Potrei raccontare il sapore della bontà e dell’amore, li porterei sicuramente alla felicità». Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce. Anziani, donne, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada.
Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un giorno, non si scoraggiò. Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore. Nuovamente la gente si fermò, ma meno del giorno prima. Qualcuno rise di lui. Qualche altro lo trattò da pazzo. Ma lui continuò imperterrito a narrare.
Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, offrire i suoi racconti di amore e di meraviglie. Ma i curiosi si fecero rari e, ben presto, si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti che lo sfioravano appena. Ma non rinunciò. Scoprì che non sapeva e non desiderava fare altro che raccontare le sue storie, anche se non interessavano a nessuno.
Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato. La gente lo lasciò solo dietro le palpebre chiuse. Passarono così degli anni.
Una sera d’inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì che qualcuno lo tirava per la manica. Aprì gli occhi e vide un ragazzo. Il ragazzo gli fece una smorfia beffarda: «Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato né ti ascolterà mai? Perché diavolo vuoi perdere così il tuo tempo?».
«Amo i miei simili», rispose il narratore. «Per questo mi è venuta voglia di renderli felici».
Il ragazzo ghignò: «Povero pazzo, lo sono diventati?».«No», rispose il narratore, scuotendo la testa.
«Perché ti ostini, allora?», domandò il ragazzo, preso da una improvvisa compassione.
«Continuo a raccontare, e racconterò fino alla morte. Un tempo era per cambiare il mondo...». Tacque, poi il suo sguardo si illuminò.
E disse ancora: «Oggi racconto perché il mondo non cambi me».
Magari ci è già capitato. Magari ci capiterà, di incontrare dei “pazzi” felici che ci parlano di Dio. Don Pino Puglisi era uno di loro.
Dio ha cambiato la loro vita, rendendola meravigliosa, perché hanno capito cosa è l’essenziale. Il loro desiderio allora è quello di trasmettere questa felicità ai loro simili, nonostante tutto, ad ogni costo. Sì, anche a costo di rimanere soli... e se nessuno li ascolta continueranno a parlare perché, anche se non potranno cambiare il mondo, il mondo non cambi loro.
«Dio è dentro il nostro cuore per dirci che dobbiamo essere bravi», scrive una bambina nel quaderno del catechismo.
La catechista le domanda: «E se una bambina non vuole ascoltarlo?».
La bambina sgrana gli occhi e risponde tranquilla: «Oh, Lui ripete».
Ostinatamente, nonostante tutto, Dio continua a raccontare la sua storia.
Avvento, tempo di attesa. Tempo di attese. Sono tante le attese che ognuno di noi porta nel proprio cuore. C’è chi spera in un domani miglio...