il blog del Don Bosco Ranchibile

domenica 28 dicembre 2014

Dammi il tuo cuore

Come faccio a toccare il cuore di Dio?
Prenditi quindici minuti di tranquillità, guarda e (soprattutto ascolta) questo video...
scoprire che Dio, che ci ama in modo infinito, si aspetta da noi meno di quanto pensiamo è semplice e sorprendente.
Egli non aspetta,  infatti, che facciamo qualcosa o che abbiamo qualcosa.
Aspetta noi. E nient'altro.

giovedì 25 dicembre 2014

Buon Natale!

L'annuncio del Natale è annuncio di vita, di gioia,  di creatività,  di speranza,  di affetto,  di amicizia,  di amore irruente che trasforma la storia e l'esperienza umana. Annuncio di una grande gioia che cambia la monotonia e l'uniformità della vita e le dà un senso e una speranza che la trasformano dall'interno.
(Carlo Maria Martini)

Speranza, pace e gioia.
Perché siamo "gli uomini che Egli ama". Nessuno è escluso.
Buon Natale!

martedì 16 dicembre 2014

L'amore è invisibile

Stabilire chi sia il bambino più buono d’Italia sembra che sia un problema sentito in tempi come i nostri.
In effetti, quando tutto sembra non voler andare per il verso giusto, rivolgersi al mondo dell’innocenza può apparire un tentativo interessante. Potremmo considerarlo come l’espressione di un desiderio inconscio di tornare indietro, ad un mondo che prima è stato anche nostro e che, improvvisamente abbiamo abbandonato, come un giocattolo rotto e inutile. Abbiamo avuto cose più importanti a cui pensare!
Ne troviamo tanti di bambini buoni e bravi. Quelli che “diventano famosi”, (come amano essi stessi dire scherzando), hanno casualmente ricevuto un’attenzione maggiore da parte di qualche adulto che si è premurato di segnalare il nome a qualche associazione ONLUS che ogni anno indice concorsi a premi, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica su un ancora possibile “mondo migliore”.
Fa sorridere la loro sorpresa nel constatare di non aver mai pensato di aver fatto qualcosa di speciale o di straordinario, di sentire di aver solamente fatto qualcosa di semplicemente normale che tutti potrebbero e dovrebbero fare. Già, tutti!
Cosicché, in realtà, tra loro, questi bambini non si contendono alcun titolo. Penso proprio che la preoccupazione sia più degli adulti che stanno accanto a loro...
Ecco perché se cercate sulla rete “la bambina più buona d’Italia nel 2014” (che, tra l’altro, non è ancora finito), ne trovate più di una.
Ciò non toglie, tuttavia, che questi bambini, qualcosa da insegnarci ce l’hanno davvero e che forse il senso del messaggio di Gesù, “se non diventerete come i bambini non entrerete nel Regno dei cieli”, sta tutto qui.
Maggio 2014. L’arciconfraternita di sant’Antonio di Padova, proprio nella città del santo, con una celebrazione e una cerimonia solenne ha voluto conferire  un premio ad una bambina di 5 anni di nome Aurora.
La piccola, ricoverata presso la clinica di oncoematologia di Padova, per il suo quinto compleanno ha chiesto di ricevere soldi e non regali. Poi ha preso il suo salvadanaio e si è fatta accompagnare presso la sede di Team for children, l’associazione che la segue e ha donato tutto «per aiutare i bambini del reparto che sono meno fortunati di me».
«Non ci aspettavamo tutto questo», dice la mamma, Valentina, «perché quello di Aurora è stato un gesto fatto con il cuore, senza volere nulla in cambio».
Il direttore della clinica, Giuseppe Basso, dice: «Aurora è il simbolo di tutti i nostri bambini, che entrano in un mondo strano, in cui perdono i capelli, in cui convivono dolore e sofferenza, ma anche gioia e successi, e in cui tutti partecipano alle vite degli altri pazienti».
Un altro premio, di carattere nazionale, alla “bambina più buona d’Italia” è stato assegnato in questi giorni a Giorgia Musumeci, una piccola alunna di 6 anni della scuola elementare “Giovanni Paolo II” di Terracina.
Giorgia con la sua sensibilità e la sua generosità è diventata un punto di riferimento importante per una compagna di classe, Alessia, con difficoltà motorie e comunicative. Ha compreso immediatamente che la sua presenza, il suo affetto, le sue coccole potevano essere importati per la vita della compagna meno fortunata ed è diventata il suo riferimento per le difficoltà quotidiane.
Nelle interviste Giorgia continua a dire: “Non ho mai pensato di fare cose straordinarie; è una mia amica e stiamo bene insieme!”.
Uno straordinario insegnamento per noi adulti che continuamente ci lasciamo coinvolgere da pregiudizi e che sull’argomento “integrazione” facciamo ancora tanta teoria ma pochissima pratica!
L’amore, quello vero, si muove nelle piccole cose. Il nostro Dio ama le piccole cose; alle piccole cose dà importanza.
L’amore, quello vero, non vive di teorie, per quanto alte e straordinarie.
Nei piccoli gesti della quotidianità, e nell’amore che esprimiamo in essi, ci giochiamo il senso della nostra esistenza.
Non importa che sia lunga o breve, la nostra esistenza. Ciò che importa e che sia piena, intensa, unica.
Nessuno verrà a chiederci il permesso per porre la parola fine.
Nessuno si sentirà in dovere di aspettare che il concerto sia finito.
Il tempo per amare gli altri non contempla il futuro, ma solo il presente.
L’amore è invisibile” è il titolo dell’ultimo album di Mango.
Di questo artista abbiamo apprezzato il talento, la voce particolare, l’animo del poeta che coglie il senso delle immagini semplici a cui troppo spesso facciamo l’abitudine: il sole, il mare, l’acqua, la rondine, il pane, la bellezza di sentirsi amati e il non trovare le parole per esprimerla...
Ci ha lasciato in modo inaspettato. Ha fatto in tempo a darci un’ultima semplice lezione: “Le sue ultime parole sono state “scusate”: in un’epoca dove nessuno si scusa mai, è l’ultimo insegnamento di un uomo e di un artista che no ha mai urlato per farsi ascoltare”. (cit. Famiglia Cristiana).
Che la forza dell’amore può cambiare in profondità l’intero universo, e persino il nostro modo di percepire Dio... beh, leggiamo questa piccola poesia:


Una canzone ferita
Una canzone ferita
zittisce il cielo,
ma un’amicizia nuova
propone un coro di angeli.
(Mango)

giovedì 4 dicembre 2014

Foto ricordo.


E’ un crocevia di immagini, sentimenti e concetti straordinari quello che, in modo soft, interessa la nostra vita in questi giorni. Proprio il suo carattere delicato, però, potrebbe non attirare la nostra attenzione più di tanto e lasciarci inconsapevoli della sua portata storica e metastorica. Vediamo di mettere in luce i punti focali: avvento, Immacolata, attesa, speranza, dialogo e abbraccio.
Siamo entrati nella prima settimana di avvento, termine che indica attesa e che ci proietta alla ormai prossima ricorrenza del Natale.
Ci prepariamo anche a vivere il nostro primo tradizionale appuntamento con una festa liturgica mariana, tanto cara a Don Bosco e alla famiglia salesiana: la festa di Maria Immacolata.
Dal 28 al 30 novembre Papa Francesco ha svolto un viaggio apostolico in Turchia.
Nel frattempo noi siamo sempre affaccendati ad affrontare le nostre preoccupazioni quotidiane, fatte di questioni più o meno importanti da risolvere.
Dal canto loro, i mass media continuano a martellarci con il loro carico di negatività (non c’è niente che va bene!) e con i relativi inviti all’evasione (è l’unica via d’uscita... fate di tutto per non pensare!).
Per trovare un punto in comune tra tutti questi elementi non è il presente che dobbiamo interrogare, ma è necessario fare un salto nel passato, (un viaggetto di duemila anni circa), e recarci in una stanzetta al primo piano di una casa di Gerusalemme, per trovare la chiave di decodificazione di questi eventi attuali.
Questa la cronaca dell’evangelista Luca:
“Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C’erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui”.  (Atti 1,12-14)
Gli apostoli avevano ricevuto da Gesù l’ordine di non allontanarsi da Gerusalemme perché lì avrebbero dovuto attendere lo Spirito Santo. Ed eccoli dunque in attesa e con essi c’è anche Maria. E l’ultima volta che sentiamo parlare di lei nella Scrittura, e la troviamo in attesa come all’inizio del racconto evangelico.
In una bellissima riflessione di Mons. Tonino Bello, Maria viene descritta come la "donna dell’attesa”. Pagine bellissime di cui voglio donarvi un assaggio:
“Vedete allora che Maria, nel Vangelo, si presenta come la vergine dell’attesa e si congeda dalla scrittura come la madre dell’attesa: si presenta in attesa di Giuseppe, si congeda in attesa dello Spirito. Vergine in attesa, all’inizio, Madre in attesa, alla fine. E nell’arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l’altra così divina, cento altre attese struggenti. L’attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L’attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L’attesa del giorno, l’unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L’attesa dell’ora: l’unica per la quale non avrebbe saputo frenare l’impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L’attesa dell’ultimo rantolo del figlio inchiodato sul legno. L’attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia. Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito”.
Oggi stiamo disimparando il gusto dell’attesa. Viviamo in schemi prestabiliti, geometricamente perfetti, con orari ed impegni improrogabili e non sappiamo più attenderci nulla. Siamo nel tempo del tutto e subito... dell’attesa non viviamo più gli aspetti  più belli né quelli più dolorosi.
Ma la cosa peggiore è quando si arriva a non attendersi più nulla dalla vita. Quando viene meno la speranza e tutto sembra ormai inutile.
Non è raro, ormai, sentire di storie senza attesa... non è raro, ormai, vivere noi stessi senza attese.
L’avvento allora si presenta come una provocazione. Ci dice che un motivo per sperare c’è, si chiama amore, perché chi ama sa aspettare.
L'avvento e il natale ci parlano proprio di questo, una storia d'amore straordinaria che ha come protagonisti un Dio follemente innamorato dell’uomo, tanto da decidere di farsi come lui, e un uomo che di questo amore ha un infinito bisogno.
L'amore cambia il cuore e cambia anche le persone. Per questo l'antica saggezza raffigurava gli amanti come persone trasformate da un dolce veleno, colpite dai dardi di un dio.
E di amore oggi c'è un immenso bisogno.
Siamo stanchi di storie tristi, senza amore e senza senso. Siamo stanchi di scene di odio e di violenza, motivate da pseudoteologie. Siamo stanchi di vedere il male accanirsi sui più deboli, sugli anziani e sui bambini.
Sì,  siamo stanchi di sentir parlare di bambini abbandonati,  o sfruttati, usati, abusati, violentati, uccisi...
Abbiamo bisogno di storie più belle.
Mi piace, a questo punto raccontarvi di un evento importante,  che potrebbe passare inosservato.  Mi piace richiamare la vostra attenzione su una foto notizia, una di quelle che fra qualche anno rivedremo sui libri di storia.
La foto mostra Papa Francesco che china il capo davanti al Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, e chiede benedizione per sé e per la Chiesa di Roma.
Il Patriarca ricambia questo gesto di umiltà con un eloquente gesto di affetto: un bacio sulla testa del Papa.
Qualcuno, commentando i vari momenti significativi che hanno caratterizzato il viaggio del Papa in Turchia, non ha lesinato rimproveri e critiche: come può il Papa, il capo della Chiesa universale, arrivare a tanto? Ha pregato in una moschea insieme ai musulmani, rivolto verso la Mecca, ha pregato con gli ortodossi, ha chiesto al loro massimo esponente la benedizione... non sta forse un tantino esagerando? Non sta forse umiliando eccessivamente, nella sua persona e nel suo ruolo, tutta la chiesa cattolica? Gli altri non hanno mai fatto dei passi simili nei nostri confronti...
Non è mia intenzione partecipare a una disputa teologica. Lascio spazio a chi vive di queste velleità.
Non credo, tuttavia, che arroccarsi dietro principi, leggi, dogmi, o pretendere che siano gli altri a fare il primo passo, sia un insegnamento che ricaviamo dal vangelo. Quante critiche piovevano su Gesù perché parlava con i romani, con la donna samaritana, con i pubblicani, con le prostitute... quanto scandalo provocava l'immagine di un maestro che lava i piedi ai suoi discepoli. No, Gesù non ci ha detto di fare rispettare la nostra autorità,  ma di rendere autorevole il nostro servizio,  fatto con amore sincero.
Duemila anni fa, in quella stanzetta al primo piano, a Gerusalemme, insieme a Maria, c'era Pietro e c'era anche Andrea, suo fratello. Il primo avrebbe avuto la responsabilità della Chiesa di Roma, il secondo della Chiesa d'Oriente.
Oggi come allora si potrebbe scrivere "erano assidui e concordi nella preghiera".
Perché da troppo tempo rimane disattesa la preghiera di Gesù: "Padre, fa che siano una cosa sola, come io e te siamo una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato", e il suo insegnamento: "da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete come io ho amato voi".
Allora avremo una Chiesa credibile. Allora testimonieremo un Dio credibile.
Non dimenticate questa foto, ragazzi. È un grande messaggio per ciascuno, un insegnamento importante. Ci si può amare nel rispetto delle differenze.
Sia questa la nostra principale attesa. Perché se nel mondo non cresce la disponibilità ad amare e lasciarsi amare l'umanità non avrà alcuna speranza.
E il natale non avrebbe alcun senso.
O forse è già così?

mercoledì 26 novembre 2014

L'inferno di Schopenhauer


Arthur Schopenhauer è un filosofo tedesco (1788-1860), passato alla storia per il suo pessimismo, talmente intenso da coinvolgere non solo il genere umano, ma tutto l'universo, e definito per questo "pessimismo cosmico". Prendendo spunto anche da alcuni studi di carattere letterario, Schopenhauer  arrivò a proporre questa suggestione: è più semplice inventare una descrizione dell'inferno che del paradiso, poiché di immagini infernali siamo circondati quotidianamente, mentre il paradiso richiede un supplemento di fantasia. Tale difficoltà avrebbe interessato lo stesso Dante, che avrebbe composto la sua prima cantica rifacendosi a immagini realistiche (vedi ad esempio l'incontro con il conte Ugolino), mentre per scrivere il Purgatorio e soprattutto il Paradiso ha dovuto inventarsi tutto.
Non c'è Paradiso attorno a noi.
C'è poca affinità tra i miei pensieri e quelli di Schopenhauer. Non avverto la sua energia negativa e pessimistica, né condivido il suo ateismo senza speranza. E tuttavia non posso negare che anche a me risulta tanto difficile trovare intorno a noi immagini che possano essere considerate una piccola e sbiadita anticipazione di paradiso. Se ci sono, sono poche.
Di contro siamo frastornati di racconti di carattere "infernale" che fatichiamo ad accettare come veri. Ci sembrano troppo oltre ogni possibile immaginazione.
La notizia è di due giorni fa e riguarda Palermo. Era su tutte le agenzie di stampa e quotidiani  online... ne ho scelto uno a caso:
E' morta la neonata trovata con il cordone ombelicale ancora attaccato in un cassonetto dei rifiuti di via Ferdinando Di Giorgi, in zona Uditore, a Palermo. A dare l'allarme ai carabinieri una passante allertata da un clochard che rovistando tra i rifiuti, aveva notato le gambine della piccola tra i sacchetti. La bambina, con ogni probabilità nata all'alba di oggi, era dentro una borsa sportiva rossa, insieme con una scarpa da adulto e un paio di forbici, utilizzate probabilmente per recidere il cordone ombelicale.
La piccola, che aveva i vasi del cordone ombelicale aperti, era in condizioni disperate ed è stata soccorsa d'urgenza dal 118. I sanitari dell'ospedale Civico hanno tentato invano di rianimarla, ma la piccola è morta. Indagini sono in corso per scoprire l'autore dell'orribile gesto: gli investigatori stanno visionando le immagini delle telecamere di sorveglianza della zona. La procura ha aperto un'inchiesta e il magistrato di turno ha disposto l'autopsia.
"Abbiamo fatto di tutto per riuscire a rianimarla e a salvarla, ma purtroppo quando è arrivata all'ospedale Civico era già morta. E' così piccola e indifesa...", racconta uno dei sanitari che hanno soccorso la piccola. La piccola è stata anche intubata in ambulanza ma non è servito a niente. E' arrivata in ospedale già cadavere. (fonte Repubblica.it)
Questa non è Sparta del 500 a.C., questa è Palermo del 2014. Questo è sempre il mondo delle contraddizioni. Quel mondo dove alcuni affermano che un bambino è un diritto, e non un dono, e altri ritengono che un bambino è un problema, e non un dono.
È il mondo dei benpensanti e dei giudizi facili; è il mondo delle apparenze da salvare ad ogni costo, il mondo dove basta chiudere gli occhi per essere a posto con la coscienza.
Ma con la coscienza ci troviamo comunque a fare i conti e spesso, se abbiamo il coraggio di affrontarne gli interrogativi, avvertiamo che il suo peso non è determinato da ciò che abbiamo fatto ma da quello che non abbiamo fatto.
Fra qualche giorno vi sarà data la possibilità di avvicinarvi al sacramento della riconciliazione. Ho la strana sensazione che di questo sacramento non abbiamo più capito nulla, che l'abbiamo ridotto ad una lavanderia spirituale che può aiutarci a stare un po' meglio per un tempo sempre più breve. Proprio come quando indossiamo un capo pulito e profumato o ci infiliamo sotto delle lenzuola fresche di bucato. A questo abbiamo ridotto il "sacramento" dell'incontro, dell'abbraccio,  dell'amore tra padre e figlio. È una conseguenza scontata non avvertirne più l'importanza, tanto siamo stati capaci di banalizzarlo.
Quali domande sono adatte per prepararci a questo incontro?  Una sola: quanto amore c'è in me?
Nessuna lista, nessun catalogo delle colpe può avere lo stesso valore... quanto amore sento? Quanto sono disposto ad amare?  La partita della nostra vita si gioca tutta sull'amore. È la vera "partita del cuore".
Ricordate l'incontro di Gesù con Pietro dopo la resurrezione? Il Maestro non chiede al discepolo "quante volte mi hai tradito?", lo sa già. Vuole sentire il suo amore: "Mi ami tu?". E da quella dichiarazione di amore deriva l'invito di Gesù ad allargare i confini del cuore "prenditi cura di loro", occupati degli altri, impara a vivere per loro.
Il Card. Martini, riprendendo una frase di Gesù,  dice: "Quando alla fine della vita saremo interrogati sull'amore non potremo delegare la risposta alla Caritas".
È vero: se c'è un paradiso questo non è certo tra di noi. Ma la forza dell'amore che abbiamo sperimentato o che sperimenteremo ci dice che questo mondo non è ancora l'inferno.
Non abbandoniamo la speranza, perché Dio ci ama, anche se non ce ne accorgiamo, malgrado tutto.
Il mondo può davvero cambiare se ci facciamo coinvolgere da quella domanda: "mi ami tu?".
Sì, il mondo può essere migliore.
Con buona pace di Schopenhauer.

mercoledì 19 novembre 2014

Il principio di contraddizione

Personalmente non l'abbiamo mai dimenticata quella domanda, dalla prima volta che una maestra ce l'ha posta alla scuola elementare; sono cambiati i programmi, sono cambiati i metodi di insegnamento e, soprattutto, di studio, ma rimane sempre un classico e riviviamo anche la sottile e piacevole sensazione che, quando siamo stati in grado di rispondere abbiamo avuto la prova di aver fatto un passo verso la maturità intellettiva: qual è la differenza tra l'uomo e l'animale?
Sin dalla prima volta, non abbiamo nutrito dubbi, fin troppo semplice: la ragione.
Crescendo ed affinando la nostra capacità di indagine e di riflessione, abbiamo ritenuto opportuno integrare questa prima e semplice intuizione con nuovi elementi, magari suggeriti dall'esperienza e (perché no?) dai nostri studi: i sentimenti, dice qualcuno, ma qualche animalista storce le labbra... la coscienza, la consapevolezza che deriva dalla riflessione, la spiritualità... e più gli studi si fanno seri, più l'analisi diventa profonda.
Ma non è necessario scomodare grandi luminari in scienze umanistiche per individuare un'altra straordinaria differenza che allontana drasticamente l'uomo dal mondo animale (del quale rimane comunque un autorevole esponente): la contraddittorieta.
Basta un piccolo viaggio, pochi minuti di navigazione sul web, poche pagine di un quotidiano sfogliate distrattamente addentando una briosche, poche immagini carpite da uno dei numerosi (spesso inguardabili) telegiornali.
Il 12 e il 13 novembre scorso due notizie venivano affiancate, quasi a sottolineare il duro contrasto generato da una umanità schizofrenica, capace di raggiungere livelli altissimi e di toccare gli abissi più profondi.
Anche i nomi ci ingannano: la grandezza dell'uomo viene raccontata da un nome semplice, un nome di donna e di un fiore, Rosetta. Oggi questo nome ci parla di passione, volontà e determinazione. Ci parla di un lavoro intenso, durato anni, che ha coinvolto molte persone di paesi diversi, accomunate dal desiderio di vedere l'umanità infrangere i suoi limiti e tentare la conquista dell'universo.
La sonda Rosetta, dell'Agenzia Spaziale Europea, partita dalla Terra nel 2004, ha sganciato il suo lander, Philae, che si è posato su una cometa, la 67/P Churyumov-Gerasimenko, a cinquecento milioni di distanza dal nostro pianeta.
Da Philae sono arrivate le prime foto, i suoni della cometa, e presto dovrebbero arrivare i risultati delle analisi fatte su parti del suolo.
Straordinario! "L'hai fatto poco meno degli angeli!", dice il Salmo 8. E parla dell'uomo.
Ma un altro nome, lo stesso giorno, circola accanto a quello di Rosetta. È quello di Tor Sapienza. Stavolta, a dispetto del nome, l'immagine dell'uomo che ne viene fuori non è certo delle migliori. In questo quartiere periferico della città di Roma da più giorni si combatte una guerriglia che vede coinvolti gli abitanti del posto, le forze di polizia e un gruppo di immigrati stipati dentro un centro di accoglienza. Una guerra tra i poveri che è frutto di anni di indifferenza, incuria, insensibilità ed egoismo. Una guerra che lascia l'amaro in bocca. A farne le spese sono sempre gli ultimi, indipendentemente dal colore della pelle, dal paese di origine, dall'appartenenza religiosa o dalla fede politica.
E proprio nel mondo della politica si continua a fare orecchi da mercante e, tra passerelle e provocazioni, il grido dei disperati rimane inascoltato. E si trasforma in rabbia, in violenza.
A che serve la storia, ragazzi miei, a che serve tutta la scienza, se nulla cambia? A che serve sognare in grande se nell'aria non s'arresta l'eco delle parole di Quasimodo "Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo... T'ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta".
La mia generazione può raccontare il progresso. Ne ha registrato una sconvolgente accelerazione negli ultimi anni.
Avevo solo due anni quando un uomo saltellava sulla Luna e tutte le televisioni trasmettevano quelle immagini in bianco e nero alla gente stupita; ho visto in diretta le prime missioni dello Shuttle, con le sue partenze più volte rimandate; i rover che esplorano Marte in vista di una probabile visita umana suscitano ancora oggi curiosità e fantasia; ho visto l'atterraggio di Philae sulla cometa insieme a mia figlia che qualche giorno prima mi aveva chiesto: "Papà, cos'è una macchina da scrivere?".
Come si può non amare l'uomo che ha fatto tutto questo?
Ma è comunque difficile accettare che "l'uomo del mio tempo", che è stato in grado di cambiare il mondo, di governare la natura, di fare grandi passi nella conquista dell'universo, non sia riuscito a fare un piccolo passo verso il fratello, non sia riuscito a conquistare il suo cuore.
E torna ancora il suono di quelle parole:
"...senza amore, senza Cristo".
Per lo sviluppo della scienza contribuisce un numero limitato di uomini.
Per lo sviluppo della coscienza è necessario il contributo di tutti e di ciascuno.
Anche il vostro

mercoledì 12 novembre 2014

Piccola buona azione quotidiana con il sapore dell' acqua di cocco

Quando le parole non ci vengono in aiuto, quando i pensieri sono tanti, ma difficili da articolare, grazie a Dio non siamo soli. Troviamo qualcuno che in situazioni simili alle nostre, con emozioni simili alle nostre, quei pensieri è riuscito in qualche modo a metterli in ordine, ad esprimerli e raccontarli con le parole giuste.
E allora facciamo spazio a quelle parole...

Il primo luglio alle ore 13 e 05 c' era un uomo di circa cinquant' anni sdraiato sul marciapiede di Copacabana. Passai davanti a lui, lanciai una rapida occhiata e proseguii per la mia strada in direzione di un chiosco dove sono solito bere acqua di cocco. Come carioca, ho già incrociato centinaia (migliaia?) di volte uomini, donne o bambini sdraiati per terra. Come chi è solito viaggiare, ho già visto la stessa scena praticamente in tutti i Paesi in cui sono stato, dalla ricca Svezia alla povera Romania. Ho visto persone sdraiate per terra in tutte le stagioni dell' anno: nell' inverno tagliente di Madrid, New York o Parigi, dove stanno vicino all' aria calda che esce dalle stazioni del metro; nel sole caldo del Libano, tra gli edifici distrutti da anni di guerra. Persone sdraiate per terra - ubriache, senza riparo, stanche - non sono una novità nella vita di nessuno. Presi la mia acqua di cocco. Dovevo ritornare rapidamente, perché avevo un' intervista con Juan Arias, del giornale spagnolo El Pais. Lungo la strada di ritorno, vidi che l' uomo era sempre lì, sotto il sole e tutti quelli che passavano si comportavano esattamente come me: guardavano e proseguivano. Malgrado io non lo sapessi, la mia anima era stanca di vedere quella stessa scena, tante volte. Quando passai di nuovo vicino a quell' uomo, qualcosa più forte di me mi fece inginocchiare per tentare di sollevarlo. Non reagì. Gli girai la testa. C' era sangue vicino alla tempia. E ora? Era una ferita grave? Gli pulii la pelle con la mia camicia: non sembrava nulla di serio. In quel momento l' uomo cominciò a mormorare qualcosa come: «Chiedete loro di non picchiarmi». Bene, era vivo. Ora dovevo toglierlo dal sole e chiamare la polizia. Fermai il primo uomo che passò e gli chiesi di aiutarmi a trascinarlo all' ombra tra il marciapiede e la sabbia. Indossava un abito, portava una valigetta, dei pacchi, ma lasciò tutto da parte e venne ad aiutarmi - anche la sua anima doveva essere stanca di vedere quella scena. Una volta messo l' uomo all' ombra, mi diressi verso casa mia. Sapevo che c' era una stazione di Polizia militare dove avrei potuto chiedere aiuto. Ma prima di arrivarvi, incrociai due soldati. «C' è un uomo ferito, davanti al numero tale - dissi -. L' ho messo sulla sabbia. Sarebbe bene mandare un' ambulanza». I poliziotti dissero che avrebbero preso i provvedimenti del caso. Ecco, avevo compiuto il mio dovere. Boy scout, sempre allerta. La buona azione del giorno. Il problema ora era in altre mani. Che ci pensassero loro. E il giornalista spagnolo sarebbe arrivato a casa mia tra qualche minuto. Non avevo fatto dieci passi e uno straniero mi fermò. Parlò in un portoghese confuso: «Avevo già avvisato la polizia dell' uomo sul marciapiede. Mi hanno detto che, purché non si tratti di un ladro, non è un problema che li riguardi». Non lo lasciai finire di parlare. Tornai dalle guardie, convinto che sapessero chi fossi, che scrivevo sui giornali e apparivo in televisione. Tornai con la falsa impressione che il successo, in taluni momenti, aiuta a risolvere molte cose. «Lei è un' autorità?» mi chiese uno di loro notando che chiedevo aiuto in modo più incisivo. Non avevano idea di chi io fossi. «No. Ma ora risolveremo questo problema». Ero vestito male, la mia camicia era macchiata del sangue dell' uomo, portavo bermuda tagliati da un vecchio jeans. Ero sudato. Ero un uomo comune, anonimo, senza alcuna autorità oltre alla mia stanchezza di vedere gente sdraiata per terra, per decine di anni della mia vita, senza aver mai fatto assolutamente nulla. E questo cambiò tutto. C' è un momento in cui sei o vai oltre qualunque blocco o paura. C' è un momento in cui i tuoi occhi sono diversi e le persone avvertono che stai parlando seriamente. Le guardie vennero con me e chiamarono l' ambulanza. Tornando a casa, ricordai le tre lezioni di quella passeggiata:

a) tutti possono fermare un' azione quando essa è ancora puro romanticismo.
b) c' è sempre qualcuno per dire: «Ora che hai cominciato, vai fino alla fine». E infine:
c) tutti noi siamo un' autorità quando siamo assolutamente convinti di quello che facciamo.

Paulo Coelho
(traduzione di Paola Mutti)

mercoledì 5 novembre 2014

Gli uomini lo fanno meglio (ma anche no!).


Sabato mattina, festa di tutti i santi, Papa Francesco celebra la messa al Verano, il cimitero di Roma. Riprende le parole della prima lettura, in cui si parla del potere dato agli angeli di devastare la terra. E dice: «Gli uomini sono capaci di farlo meglio. Noi uomini siamo capaci di devastare la terra meglio degli angeli, questo lo stiamo facendo. Siamo capaci di devastare la terra, la cultura, la speranza. Quanto bisogno abbiamo della forza del Signore perché ci sigilli con il suo amore e la sua forza per fermare questa pazza corsa di distruzione. Distruzione di quello che Lui ci ha dato, delle cose più belle che lui ha fatto per noi perché noi le portassimo avanti, le facessimo crescere, dare i frutti».
Riferendosi poi al bombardamento che durante la seconda guerra mondiale ha distrutto il quartiere dove sorge il Verano aggiunge:  «è stato tanto grave e doloroso, ma è niente in comparazione a quello che oggi accade. L'uomo si impadronisce di tutto, si crede Dio, si crede re. E le guerre che continuano, non precisamente a seminare grano di vita, ma a distruggere, è l'industria della distruzione, è un sistema anche di vita che quando le cose non si possono sistemare si scartano: si scartano i bambini, gli anziani, i giovani senza lavoro, questa è la devastazione che ha fatto la cultura dello scarto: si scartano i popoli».
Possibile, mi sono detto, che tutto vada così male? Possibile che non si possa trovare un po' di serenità nel leggere i giornali, nel guardare la televisione... possibile che non ci siano uomini buoni?
Cosi mi sono messo al computer con tutte le buone intenzioni per fare un'accurata ricerca sui giornali online ed individuare qualche "buona novella" dei nostri giorni. È stata una piccola ma reale impresa perché sembra che il bene non faccia notizia, che non sia degno di nota, non stimola la nostra curiosità e pertanto non merita troppo spazio.
"Metto a disposizione il forno della mia taverna per i rom", leggo in un primo titolo. "Ecco", ho pensato, "si tratterà di una persona generosa che concede ai rom di usare i suoi spazi, il suo forno... per fare magari il pane". Niente di più lontano dalla verità. La consigliera comunale Massimilla Conti, di Motta Visconti, provincia di Milano, intende tutt'altro quando scrive sul suo profilo facebook: «Se tra i cani ci sono razze che vengono più predisposte a aggredire, perché non ammettiamo che i rom sono più portati a commettere certi reati?». E continua: «Ci vorrebbero i forni… metto a disposizione la mia taverna. Se vedete del fumo strano che esce dal tetto non vi preoccupate».
E noi che pensavamo di esserci liberati dallo spettro del razzismo, di essere ormai lontani anni luce da certi pregiudizi! Scriviamo su qualsiasi motore di ricerca parole come rom o zingari e ci renderemo conto di esserci sbagliati.
Di più: quanto sottile è il limite che ci conduce a giudicare gli altri con gli stessi parametri. Perché si fa presto a convincerci che non c'è alternativa, che è necessaria ed inevitabile la distinzione netta tra noi e gli altri e che la "tolleranza" dell'illuminista Voltaire e "l'amore" cristiano altro non siano che due sfumature della medesima utopia.
Ora mi chiedo: a cosa è servito abbattere il muro di Berlino se continuiamo a costruire barriere invisibili ancora più alte e più forti?
Si incentivano le politiche della paura piuttosto che le politiche della speranza.
Diversità e paura sembrano legarsi nelle nostre storie ordinarie, quelle di tutti i giorni, e nei commenti che facciamo, come osservatori o come partecipanti.
Cito testualmente una pagina dell'interessante saggio di Salvatore Veca:
"Il razzismo è un opzional piuttosto diffuso tra noi, una volta che abbiamo, relativamente da poco, cominciato a metterci alla prova con gli effetti delle grandi migrazioni. La caccia al nero, ancora di moda. E qualche anno fa hanno anche pensato a fare le scuole separate per i figli degli immigrati. Dopo aver inventato il timbro per i ragazzini rom e aver dichiarato lo sgombero e lasciata inadempiuta la promessa civile delle residenze. Ed ecco, a proposito di razzismo, l'immortale commento di Sancho Panza: ≪Nel mondo ci sono solo due razze, quella di chi ha e quella di chi non ha≫. E di Mark Twain: ≪io non chiedo a che razza appartiene un uomo, basta che sia un essere umano, nessuno può essere qualcosa di peggio≫.
Avere e non avere, oggi, continua a fare la differenza e la crudeltà umana sembra davvero non avere limiti.
Un paio di giorni fa, la polizia locale di Milano ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare a carico di una decina di uomini di origine rumena, accusati di aver ridotto in schiavitù  molti loro connazionali e di aver gestito il racket dell'accattonaggio nel capoluogo lombardo.
Uomini, in tanti casi con evidenti mutilazioni o handicap fisici, letteralmente comprati per poche centinaia di euro e costretti a chiedere l'elemosina ai semafori.
Quante volte le vittime della tratta degli schiavi sono state anche vittime dei nostri giudizi. Beffati due volte dalla vita e dall'insensibilità degli altri. Sono vive tante immagini impresse agli incroci della nostra città,  nei viali del parco della Favorita... è vivo il suono di tanti giudizi affrettati.
Si può ancora pensare ad un futuro migliore?
Si può.  Se riusciamo a vedere nell'altro non una minaccia, ma una risorsa. Se riusciamo a sostituire la paura con la speranza... come può fare un padre.
Perché una storia bella l'ho trovata. E ve la voglio raccontare.
È la storia di Yu Xukang, quarantenne contadino delle colline cinesi di cui hanno scritto tempo fa sul Corriere della sera. È la storia di un padre che ogni giorno percorre 18 miglia, (circa 29 chilometri), la metà dei quali con un ragazzino disabile sulle spalle perché non vuole che suo figlio perda anche un solo giorno di scuola. Per non fargli mancare quel prezioso momento di vita comune che noi spesso non sappiamo più apprezzare.
Ci sono uomini come Yu, ne sono convinto. Ce ne sono probabilmente tanti. Non fanno rumore. Quotidianamente fanno qualcosa di grande e magari non ne sono consapevoli. Nel silenzio di una vita semplice ci insegnano a non rassegnarci, a non rinunciare a puntare lo sguardo al futuro, anche quando il presente sembra non concedere alternative.

giovedì 30 ottobre 2014

...per nome e cognome!

Dietro ad ogni nome c'è un volto, una persona, un'identità,  una storia, un cuore.

Ecco l'elenco ufficiale dei ragazzi impegnati nel volontariato a Santa Chiara.

Ad ognuno di loro l'augurio di una vita intensa all'insegna dell'amore e della generosità!

Ad ognuno di loro un grazie di cuore!

mercoledì 29 ottobre 2014

The last photo

Giochiamo spesso con la fantasia. E meno male che c’è ancora concesso.
Le occasioni non mancano, anzi.
Una di queste occasioni mi ha fatto riflettere particolarmente. Ritiro spirituale con una classe del biennio. Ripetiamo un gioco che ormai proponiamo da un po’: se per ipotesi una catastrofe stesse per abbattersi sul nostro pianeta e fossimo costretti a lasciare in fretta la nostra vecchia Terra... se ci venisse garantito tutto l’essenziale per sopravvivere e ci permettessero di portare con noi solo tre oggetti... a che cosa non rinunceremmo? Ve lo ricordate?
Le risposte sono varie e spesso si somigliano, o hanno delle analogie. Cerchiamo di individuare con esse a cosa davvero teniamo di più. Gli oggetti parlano di noi, a volte anche quando non ci siamo...
Bene. In una di queste occasioni mi ha molto colpito la considerazione di un ragazzo che ha detto: “Porterei con me la macchina fotografica, perché vorrei scattare un’ultima foto alla Terra, prima di andare via!”.
Un’ultima foto alla Terra. Caspita! Non ci avevo mai pensato. Diciamo tanto di amare la nostra Terra ma poche volte guardiamo le sue foto. Lo facciamo, normalmente, con le foto di qualcuno o di qualcosa a cui teniamo particolarmente.
Così in un attimo di pausa ho detto: voglio proprio vederla, la Terra!
Google Earth... la tecnologia ci viene incontro. E devo confermare che è proprio bella la Terra. Vista da fuori è meravigliosa... già è stupenda. Oserei dire commovente.
Ho visto la mia casa, ho visto la nostra scuola e ci si sente infinitamente piccoli.
Affascinante l’azzurro degli oceani, tranquillizzante il verde delle foreste, un po’ meno il giallo che nella parte centrale colora i deserti, incantevole il bianco  (sempre più ridotto) dei due poli.
Tutto così funzionale, tutto così organizzato, tutto così perfetto... meraviglioso!
Ma non appena proviamo ad ingrandire la foto per vederne i particolari i colori cambiano.
Vediamo il grigio delle città e dell’inquinamento selvaggio, riusciamo quasi a percepirne l’odore; il nero della miseria e della morte, il rosso del sangue... anche di tutto questo sembra sentire l’odore, e fa male. Colpisce allo stomaco. Ci sono elementi che non hanno colore né odore: le lacrime dei bambini, il silenzio di chi soffre e i sospiri di chi è solo... ne percepiamo il suono sommerso e tutto questo fa sempre male.
Quando scattiamo una foto chiediamo al soggetto ripreso di sorridere. Potremmo chiedere un sorriso anche al nostro pianeta? Certo che sì!
Se potessimo percepirne la voce, probabilmente riusciremmo a sentirne il battito del cuore: ci direbbe che siamo noi che, giorno per giorno, soffochiamo il suo sorriso, e che solo noi possiamo impegnarci, giorno per giorno, per farlo tornare a sorridere. Con le piccole cose,, con i piccoli gesti quotidiani, superando le barriere dell’orgoglio e dell’egoismo.
Amando chi ci sta accanto. Il prossimo appunto.
Non è poesia questa. Se è vero, come alcuni affermano, che anche il semplice cadere di una foglia si ripercuote in qualche modo in tutto il mondo, perché non dovremmo ritenere altrettanto potente il sorriso di un bambino, un piccolo gesto di amore, il dono di un sollievo?
Ci rendiamo conto di quale potente energia siamo custodi?
Impegniamoci allora per far tornare a sorridere la Terra... poi magari scattiamole pure una foto. Che non sia l’ultima.

I mille volti del volontariato

Ci sono molti modi per fare qualcosa per qualcuno...
e per se stessi!
Unisciti anche tu al gruppo del Coro "ADUNAVOCE"!

mercoledì 22 ottobre 2014

Oggi non è il mio giorno


Se da piccola le avessero detto che avrebbe incontrato il presidente della nazione più potente del mondo, che avrebbe potuto parlargli a quattr’occhi; se le avessero raccontato che avrebbe avuto l’occasione per raccontare i suoi sogni ai grandi della Terra, riuniti all’Assemblea delle Nazioni Unite, disponibili ad ascoltarla; se le avessero suggerito che un intero giorno avrebbe portato il suo nome, e che in quel giorno l’avrebbero ascoltata in moltissimi e avrebbero reagito alle sue parole con un’ovazione...  probabilmente avrebbe sfoderato quel sorriso dolce e semplice ma disilluso di chi, sognando, ha imparato a non fuggire la realtà, ma ad immergersi in essa con tutta la propria vitalità.
Se da piccola le avessero detto che un giorno (ancora abbastanza piccola!), al ritorno da scuola, un uomo sarebbe salito sull’autobus sgangherato, sulla strada di casa, e le avrebbe sparato tre proiettili contro, ferendola gravemente alla testa e al collo... forse avrebbe ancora sorriso di fronte a quello strano incubo, ritenendolo senza senso. Perché? Chi avrebbe avvertito in lei una minaccia?
Oggi sorride Malala Yousafzai, come sempre, con quel sorriso che qualcuno avrebbe voluto spegnere, senza riuscirci. Perché Malala ha spaventato quel qualcuno e lo ha fatto proprio con i suoi sogni, lo ha fatto immaginando e suggerendo un mondo diverso, lo ha fatto ribellandosi ad una cultura della prevaricazione, della violenza e della discriminazione.
E’ piccola Malala, fisicamente e anagraficamente piccola, ma in grado di scatenare terremoti.
Nasce nello Swat, piccola regione del Pakistan occupata dalle milizie talebane.
A tredici anni diviene famosa per un blog che lei cura per la BBC, documentando il regime dei talebani pakistani con la sua negazione dei diritti delle donne, in particolare quello all’istruzione.
Il 9 ottobre 2012, (ha 15 anni), è vittima di un attentato. I fondamentalisti ne rivendicano la responsabilità accusandola di essere “il simbolo degli infedeli e dell’oscenità”. Minacciano di ritentarci, nel caso in cui fosse sopravvissuta.
E lei sopravvive. Da Peshawar, dove le sono stati asportati i proiettili, viene trasferita a Birmingham, in un ospedale inglese che si è offerto per curarla.
Riceve alcuni riconoscimenti ufficiali e alcuni premi, ma soprattutto numerosissime manifestazioni di solidarietà e di affetto.
Il 10 ottobre 2014 viene insignita del premio Nobel per la pace insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi. A diciassette anni è la più giovane vincitrice della storia del prestigioso premio.
Questa la motivazione dei giudici che hanno assegnato il premio: “per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti  i bambini all'istruzione”.
Io sono Malala” è il titolo della sua autobiografia. A sedici, diciassette anni c’è poco passato da raccontare, ma tanto futuro da sognare!
"Capiamo l'importanza della luce quando vediamo l'oscurità, della voce quando veniamo messi a tacere. Allo stesso modo nel Pakistan abbiamo capito l'importanza di penne e libri quando abbiamo visto le pistole.
La penna  è più forte della spada. È vero che gli estremisti hanno e avevano paura di libri e penne. Il potere dell'istruzione fa loro paura. E hanno paura delle donne: il potere della voce delle donne li spaventa. Per questo hanno ucciso 14 studenti innocenti, per questo hanno ucciso le insegnanti, per questo attaccano le scuole tutti i giorni. Gli estremisti hanno paura del cambiamento, dell'uguaglianza all'interno della nostra società".
Sono parole sue, parole pronunciate durante il Malala Day, quando è stata ricevuta dai rappresentanti delle Nazioni Unite al Palazzo di vetro di New York.
"Sono qui e oggi parlo per tutti coloro che non possono far sentire la propria voce; pensavano che quel proiettile ci avrebbe fatto tacere per sempre, ma hanno fallito", ha detto, lanciando un vibrante appello "all'istruzione per tutti i bambini".
Tra i suoi sogni più grandi c’è quello di un mondo dove i potenti si impegnino per la pace, per i diritti di donne e bambini, per il diritto all’istruzione, per tutto ciò che può garantire ad ognuno giustizia e felicità:
"Chiediamo ai leader di tutto il mondo di cambiare le politiche strategiche a favore di pace e prosperità, che tutti gli accordi tutelino i diritti di donne e bambini. Chiediamo a tutti i governi di assicurare l'istruzione obbligatoria e gratuita in tutto il mondo a ogni bambino, di lottare contro il terrorismo e la violenza, ai Paesi sviluppati di sostenere i diritti all'istruzione per le bambine nei Paesi in via sviluppo. Chiediamo a tutte le comunità di respingere i pregiudizi basati su caste, sette, religione, colore, genere... Chiediamo ai leader di tutto il mondo di assicurare la sicurezza di donne, perché non possiamo avere successo se metà di noi subisce torti. E chiediamo a tutte le sorelle di essere coraggiose, comprendendo il loro pieno potenziale e agendo".
Ragazzi, io non voglio sminuire i vostri bisogni né le vostre prerogative, ma permettetemi e permettetevi di fare un rapido paragone tra quanto avete sentito (o pronunciato) nella recente assemblea degli studenti e le parole di una ragazzina nata in una poverissima regione di uno dei paesi più dilaniati della Terra.
Che il troppo benessere ci stia anestetizzando il cuore? Che a poco a poco stiamo rischiando di non sapere guardare oltre i nostri interessi personali?
Che effetto fa sapere (se lo sappiamo!) che mentre noi ci battiamo per una tapparella che non  funziona, per un ventilatore che non gira, per un orologio che manca alla parete, per la carta igienica e il “bagnoschiuma” nei servizi, per cinque minuti di ricreazione in più, per due compiti assegnati lo stesso giorno, (tutto sacrosanto e dovuto... lo so!)... che effetto fa sapere che da un’altra parte del pianeta ci sono nostri coetanei che, per veder riconosciuto il diritto fondamentale alla libertà di scelta, sfidano i manganelli della polizia riparandosi sotto semplici ombrelli colorati?
Siamo nati fortunati. E’ vero. Ma non siamo migliori degli altri.
Accettiamo umilmente un ultimo insegnamento da Malala.
Nel suo intervento durante la celebrazione del Malala Day ha detto:
"Oggi non è il mio giorno, è il giorno di tutti coloro che combattono per i propri diritti. I talebani non mi ridurranno mai al silenzio e non uccideranno i miei sogni".

Oggi non è il mio giorno...
Noi, nati in una condizione migliore dei 50 milioni di bambini che, secondo un’indagine di Save the children e Unesco, non hanno diritto all’istruzione e che spesso sono arruolati in eserciti di guerriglieri o penosamente sfruttati nei mercati della prostituzione, a chi dedicheremo il nostro giorno? Continueremo a tenerlo solo per noi? Continueremo a vivere nell’indifferenza? A volare basso?
Sarebbe bello, ogni mattina, svegliarsi con un sorriso di riconoscenza nei confronti della vita e poter dire: oggi non è il mio giorno, ma il giorno...

venerdì 17 ottobre 2014

Il mondo dei bambini

E’ bello il mondo dei bambini...
La fantasia è la padrona assoluta e sognare è semplice, anche ad occhi aperti.
Sì, è bello il mondo dei bambini.
La meraviglia per le scoperte quotidiane, la voglia di imparare ogni giorno qualcosa in più, magari per colmare un po’ la distanza dal mondo degli adulti, il desiderio di conoscere e di vivere tutto in pienezza, attimo per attimo. Tutto questo sembra sconfinato.
E’ bello il mondo dei bambini. Lo troviamo riflesso nell’immaginario costruito attraverso tanti strumenti, dove fantasia, arte e tecnologia si incontrano e si fondono, che attraverso quella denominazione, ormai obsoleta e irreale, ma ancora dolce da sentire, i “cartoni animati” permette agli adulti di accumulare un bel po’ di soldi (le attività di marketing basate sui desideri dei bambini sono una delle principali fonti di guadagno), e permette ai bambini di continuare a sognare che il mondo intero sia bello. Come il loro.
Hai presente i paesaggi dei cartoons ? Non sono bellissimi? Non mi riferisco solo ai fantasiosi castelli delle favole, ma anche alle altrettanto fantasiose raffigurazioni delle nostre città.
Le strade pulitissime, i muri per nulla imbrattati che riflettono il sole in mille colori pastello. Un caleidoscopio di luci che rende più buone anche le persone. Tutti sorridono ed anche il personaggio più triste e scorbutico, il “Brontolo” della situazione, prima o poi sarà costretto a cedere e diventare buono e cordiale... perché non c’è spazio per la tristezza in un mondo come questo.
Le attività quotidiane non sono pesanti: tutti hanno un lavoro che amano o riescono a realizzare i propri sogni; anche andare a scuola non sembra poi così terribile o noioso.
Tutto è bello, tutto e buono. E’ bello il mondo dei bambini.

Ma poi cresci. Ed hai quattordici anni. Esci di casa e guardi intorno a te, e nulla è come hai immaginato fino ad ora. Hai percorso queste strade tante volte e non ti eri mai accorto che sono l’immagine in negativo di quanto hai visto in tv, di quanto ti hanno fatto vedere.
Le strade sono sporche, i muri imbrattati, la gente nervosa, triste e scontrosa. Chi ha perso il suo lavoro, (che svolgeva con fatica, nonostante non gli piacesse, perché a casa i figli hanno fame), sa che trovarne un altro è un’impresa impossibile. Dovrà sottostare a gente pronta a sfruttare il suo bisogno e dovrà ritenersi fortunato, e sarà un uomo forte,  se il pianto dei propri figli non lo spingerà a rivolgersi alle organizzazioni criminali. Vuoi che sorrida anche lui?  Non ce la fa.
E’ questo il tuo mondo reale. Allora che fai?
Guardi il tuo scooter nuovo, che tuo padre, carrozziere, è riuscito ad acquistarti con sacrificio. Ti piace. E’ bello con i suoi colori scintillanti. Una goccia di bellezza in un deserto di degrado. Ci tieni che rimanga com’è, nuovo e luccicante. Lo hai fatto spesso... lo porti al lavaggio, con qualche euro brillerà di più.
Ma quello che ti aspetta non c’è fantasia che riesca a crearlo.
Tre uomini ti girano attorno, li conosci, li hai visti tante volte perché sono del tuo stesso quartiere, ti prendono in giro, “sei grasso” ti dicono “enorme”, “ciccione di m...”. Le loro parole ti fanno sentire sbagliato, almeno in questo mondo, sei sbagliato! Perché qui non si deve essere grassi, né troppo delicati, né effeminati... abbiamo altri schemi, altri modelli da seguire. Ci vogliono muscoli, un carattere rude o spavaldo, e soprattutto non devi stare solo, devi appartenere a un branco. Loro non sono soli, tu sì. “Sei talmente grasso”, dice uno di loro “che adesso ti pulisco come un tappetino”. E tu sai che si chiama Vincenzo, proprio come te. “Vieni grassone, che ti gonfio ancora un po’!”, continua, tra le risate degli altri due del branco e l’indifferenza di chi sta attorno. Poi ti afferra, ti abbassa i pantaloni e ti soffia dentro con la pistola dell’aria compressa. Vomiti sangue... non riesci più a vedere nulla... il dolore e lancinante... il buio.
Ti risvegli in un posto diverso, una stanza silenziosa, con luci soffuse, pareti pulite. Sei disteso su un letto, anche le lenzuola sono pulite. Hai un tubicino al naso e c’é un sottofondo fatto di ronzii e beep. Riconosci la stanza di un ospedale. Riconosci la persona al tuo fianco. Finalmente un viso amico. “Mamma, che è successo?, perché mi prendono in giro? perché mi hanno aggredito in quel modo? perché mi fa tanto male la pancia?”.
Non sai. Non puoi sapere. Ti hanno lacerato l’intestino. Ti hanno lacerato l’anima.
Ma il perché non è dato saperlo, né a te né tutti quelli che si  pongono questa domanda.
Sei dispiaciuto perché dovrai saltare una partita di calcetto, la tua passione, insieme al Napoli. Non sai del rischio di non poter giocare più.
Ma con la mamma accanto stai meglio. Ti ritorna il sorriso.
L’altro Vincenzo è in carcere. Ventiquattro anni e una bambina di due, nessun lavoro per poterla mantenere. Una continua metamorfosi, ora vittime ora  carnefici, sì, ora vittime ora carnefici. Avrà il coraggio di dire a sua figlia, che guarda i cartoni, che il mondo fuori è talmente diverso?

Quale mondo ci aspetta domani?
Il mondo del grande e piccolo schermo è bello,ma non è reale.  Ben altro tipo di “cartoni animati” troviamo nelle stazioni e sotto i portici della nostra città: abitazioni di cartone, vestiti di cartone, letti di cartone... l’indifferenza genera mostri (veri!) e nessuno può prevedere chi sarà la loro vittima.
I bambini hanno diritto a sognare... perché questo diritto deve esserci negato quando cresciamo? Perché non possiamo immaginare un mondo diverso, senza indifferenza, senza odio, senza violenza, senza prevaricazione?
E’ bello il mondo dei bambini. Il nostro potrebbe esserlo.

venerdì 10 ottobre 2014

come tutto ebbe inizio

Il viaggio non è molto lungo. Circa tre chilometri percorsi in compagnia sulla linea 101, poi un tratto a piedi e facciamo in tempo a girare l'angolo per ritrovarci in un altro mondo. L'Africa è qui, l'Asia è qui, ma soprattutto  Palermo è qui, in una cartolina diversa, insolita per la maggior parte di noi, forse volutamente ignorata.
Oggi siamo qui, nel cuore della città antica, quartiere dell'Albergheria, a due passi dal famoso mercato di Ballarò. Piazza Santa Chiara, 11, per essere esatti.
Un po' di incertezza e le domande di rito: che faremo oggi? A che ora finiremo? A che ora si mangia?
Sì perché per ora l'unica sicurezza di cui siamo in possesso è che non faremo la fame visto l'abbondanza di vivande collezionata sui tavoli e nel frigo della sala mensa.
Aspettiamo un po', poi veniamo invitati ad accomodarci in una sala dell'antico monastero per dare inizio ai lavori.
"Che siamo venuti a fare?", l'esordio del don.
Già, che siamo venuti a fare? Dovresti dircelo tu... ci hai convocati, ci hai portati qui, ci hai promesso un'esperienza intensa, ci hai detto di prepararci a viverla con impegno ovvero di rimanere a casa, ci hai invitato a preparare cibo non pensando solo a noi ed ora... ci chiedi "che siamo venuti a fare?".
"Quanti tra voi pensano che siamo qui solo per saltare una normale giornata di scuola?". Timidamente si sollevano un paio di mani. Non di più.
Altri attendono. "Prima o poi ci direte che cosa siamo venuti a fare qui!".
E finalmente si inizia. In cuor suo qualcuno spera intensamente che non si tratti del solito polpettone... teorie, belle frasi e insegnamenti sdolcinati che toccano il cuore per poi lasciarlo alle sue quotidiane mansioni.
Vediamo un video. Ci sta... meglio delle prediche. Ed ecco il primo colpo basso. Il montaggio non sarà un capolavoro tecnologico ma pochi possono sfuggire alle sollecitazioni dei suoi contenuti.
Alcune frasi tratte dal vangelo (quelle del "Gesù che ci piace"), legate ad alcuni stralci del film Patch Adams, e rielaborate in un filmato sulla forza rivoluzionaria dei piccoli gesti, ci hanno messo davanti al tema di oggi: il SERVIZIO.
Le suggestioni sono forti. A certe cose spesso non pensiamo. Forse ci hanno abituato un po' troppo a guardare noi stessi.
E gli altri? Gli altri, forse, li viviamo spesso come un problema, una difficoltà.
"Guarda oltre, Patch! Se ti concentri sul problema non arriverai mai alla soluzione!".
Per alcuni di noi è stato come liberarsi da un torpore, svegliarsi da un sonno profondo...
Abbiamo appreso che ci può essere un modo diverso di guardare il mondo dietro l'angolo.E' possibile andare oltre se stessi e vincere i pregiudizi.
Se il mondo non ci piace, se la società in cui viviamo non ci sembra ospitale, se l'altro che ci passa accanto ci fa paura, se siamo infastiditi da tutto il male che ci viene riversato addosso dai notiziari e abbiamo spesso puntato il dito contro tutto e tutti perché nessuno fa niente, è arrivato il momento di chiedersi "ed io?".
Così, a poco a poco, abbiamo compreso il senso del servizio, del mettersi a disposizione degli altri, dell'amore che si fa concreto, che si fa vita.
Lite motiv di una saggezza antica, unico vero segno di identificazione del cristiano... Gesù ce l'aveva detto: "vi riconosceranno da come vi amerete", non dai discorsi che faremo, dai simboli che portiamo addosso, dai riti che celebriamo. Senza l'amore tutto è vano. Come suonano forte le parole di Paolo:

"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!" (1 Cor. 13,1-3;13).

Il servizio è amore. Questo abbiamo capito. Non si limita a dare una parte del nostro tempo agli altri, ma diventa uno stile di vita. Io guardo gli altri, ascolto gli altri, sto con gli altri, vivo con loro.
E quando sembra che sia un dare a fondo perduto, ci accorgiamo di un rientro inaspettato. Perché il mondo attorno a noi piano piano cambia. E noi con lui.

E sono arrivate le testimonianze! Caterina, Salvo, Don Dario, nella loro semplicità, con i loro volti sorridenti ci hanno parlato della loro vita, della loro "normale quotidianità" vissuta accanto agli altri e per gli altri, soprattutto per i più bisognosi. Il servizio nella carità è diventato la bussola che ha orientato anche la loro scelta di vita: medico, assistente sociale, religioso... ogni professione, ogni scelta di vita, rientra in un progetto più grande che investe ciascuno di noi e che prima di chiederci "cosa farai da grande?" ci invita a rispondere alla domanda "chi vuoi essere da grande?".
La risposta non verrà dal guardarci allo specchio. Anche questo abbiamo capito. La risposta sta lì, in quel mondo dietro l'angolo.
Ci ha conquistati. Gli sguardi dei bambini presenti a Santa Chiara, i loro sorrisi, la loro allegria, sono stati la vera "predica" di questa giornata di riflessione. Se a nulla fossero serviti i discorsi, pochi minuti di contatto con quegli occhi, quei sorrisi e quelle manine tese hanno donato un'esperienza incredibile che alcuni tra noi hanno cercato invano di descrivere a parole.

Finalmente il pranzo! Ci rilassiamo un po' in vista di un pomeriggio che si preannuncia ancora carico di emozioni.
E' un bel momento di condivisione. Sembra quasi respirare un po' di "voglia di mettersi a servizio", già qui tra di noi, tra il cibo (buonissimo!!!), le battute, i sorrisi.
Si respira un'aria particolare.

La giornata non è finita.
C'è tempo per giocare (rigorosamente insieme!) e scambiare qualche parola tra noi. Chissà, forse alcuni si confrontano proprio su quanto stanno vivendo oggi, su quanto pensano di poter fare a partire da domani.

Il calendario dell'avvento

Avvento, tempo di attesa. Tempo di attese. Sono tante le attese che ognuno di noi porta nel proprio cuore. C’è chi spera in un domani miglio...