il blog del Don Bosco Ranchibile

mercoledì 22 ottobre 2014

Oggi non è il mio giorno


Se da piccola le avessero detto che avrebbe incontrato il presidente della nazione più potente del mondo, che avrebbe potuto parlargli a quattr’occhi; se le avessero raccontato che avrebbe avuto l’occasione per raccontare i suoi sogni ai grandi della Terra, riuniti all’Assemblea delle Nazioni Unite, disponibili ad ascoltarla; se le avessero suggerito che un intero giorno avrebbe portato il suo nome, e che in quel giorno l’avrebbero ascoltata in moltissimi e avrebbero reagito alle sue parole con un’ovazione...  probabilmente avrebbe sfoderato quel sorriso dolce e semplice ma disilluso di chi, sognando, ha imparato a non fuggire la realtà, ma ad immergersi in essa con tutta la propria vitalità.
Se da piccola le avessero detto che un giorno (ancora abbastanza piccola!), al ritorno da scuola, un uomo sarebbe salito sull’autobus sgangherato, sulla strada di casa, e le avrebbe sparato tre proiettili contro, ferendola gravemente alla testa e al collo... forse avrebbe ancora sorriso di fronte a quello strano incubo, ritenendolo senza senso. Perché? Chi avrebbe avvertito in lei una minaccia?
Oggi sorride Malala Yousafzai, come sempre, con quel sorriso che qualcuno avrebbe voluto spegnere, senza riuscirci. Perché Malala ha spaventato quel qualcuno e lo ha fatto proprio con i suoi sogni, lo ha fatto immaginando e suggerendo un mondo diverso, lo ha fatto ribellandosi ad una cultura della prevaricazione, della violenza e della discriminazione.
E’ piccola Malala, fisicamente e anagraficamente piccola, ma in grado di scatenare terremoti.
Nasce nello Swat, piccola regione del Pakistan occupata dalle milizie talebane.
A tredici anni diviene famosa per un blog che lei cura per la BBC, documentando il regime dei talebani pakistani con la sua negazione dei diritti delle donne, in particolare quello all’istruzione.
Il 9 ottobre 2012, (ha 15 anni), è vittima di un attentato. I fondamentalisti ne rivendicano la responsabilità accusandola di essere “il simbolo degli infedeli e dell’oscenità”. Minacciano di ritentarci, nel caso in cui fosse sopravvissuta.
E lei sopravvive. Da Peshawar, dove le sono stati asportati i proiettili, viene trasferita a Birmingham, in un ospedale inglese che si è offerto per curarla.
Riceve alcuni riconoscimenti ufficiali e alcuni premi, ma soprattutto numerosissime manifestazioni di solidarietà e di affetto.
Il 10 ottobre 2014 viene insignita del premio Nobel per la pace insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi. A diciassette anni è la più giovane vincitrice della storia del prestigioso premio.
Questa la motivazione dei giudici che hanno assegnato il premio: “per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti  i bambini all'istruzione”.
Io sono Malala” è il titolo della sua autobiografia. A sedici, diciassette anni c’è poco passato da raccontare, ma tanto futuro da sognare!
"Capiamo l'importanza della luce quando vediamo l'oscurità, della voce quando veniamo messi a tacere. Allo stesso modo nel Pakistan abbiamo capito l'importanza di penne e libri quando abbiamo visto le pistole.
La penna  è più forte della spada. È vero che gli estremisti hanno e avevano paura di libri e penne. Il potere dell'istruzione fa loro paura. E hanno paura delle donne: il potere della voce delle donne li spaventa. Per questo hanno ucciso 14 studenti innocenti, per questo hanno ucciso le insegnanti, per questo attaccano le scuole tutti i giorni. Gli estremisti hanno paura del cambiamento, dell'uguaglianza all'interno della nostra società".
Sono parole sue, parole pronunciate durante il Malala Day, quando è stata ricevuta dai rappresentanti delle Nazioni Unite al Palazzo di vetro di New York.
"Sono qui e oggi parlo per tutti coloro che non possono far sentire la propria voce; pensavano che quel proiettile ci avrebbe fatto tacere per sempre, ma hanno fallito", ha detto, lanciando un vibrante appello "all'istruzione per tutti i bambini".
Tra i suoi sogni più grandi c’è quello di un mondo dove i potenti si impegnino per la pace, per i diritti di donne e bambini, per il diritto all’istruzione, per tutto ciò che può garantire ad ognuno giustizia e felicità:
"Chiediamo ai leader di tutto il mondo di cambiare le politiche strategiche a favore di pace e prosperità, che tutti gli accordi tutelino i diritti di donne e bambini. Chiediamo a tutti i governi di assicurare l'istruzione obbligatoria e gratuita in tutto il mondo a ogni bambino, di lottare contro il terrorismo e la violenza, ai Paesi sviluppati di sostenere i diritti all'istruzione per le bambine nei Paesi in via sviluppo. Chiediamo a tutte le comunità di respingere i pregiudizi basati su caste, sette, religione, colore, genere... Chiediamo ai leader di tutto il mondo di assicurare la sicurezza di donne, perché non possiamo avere successo se metà di noi subisce torti. E chiediamo a tutte le sorelle di essere coraggiose, comprendendo il loro pieno potenziale e agendo".
Ragazzi, io non voglio sminuire i vostri bisogni né le vostre prerogative, ma permettetemi e permettetevi di fare un rapido paragone tra quanto avete sentito (o pronunciato) nella recente assemblea degli studenti e le parole di una ragazzina nata in una poverissima regione di uno dei paesi più dilaniati della Terra.
Che il troppo benessere ci stia anestetizzando il cuore? Che a poco a poco stiamo rischiando di non sapere guardare oltre i nostri interessi personali?
Che effetto fa sapere (se lo sappiamo!) che mentre noi ci battiamo per una tapparella che non  funziona, per un ventilatore che non gira, per un orologio che manca alla parete, per la carta igienica e il “bagnoschiuma” nei servizi, per cinque minuti di ricreazione in più, per due compiti assegnati lo stesso giorno, (tutto sacrosanto e dovuto... lo so!)... che effetto fa sapere che da un’altra parte del pianeta ci sono nostri coetanei che, per veder riconosciuto il diritto fondamentale alla libertà di scelta, sfidano i manganelli della polizia riparandosi sotto semplici ombrelli colorati?
Siamo nati fortunati. E’ vero. Ma non siamo migliori degli altri.
Accettiamo umilmente un ultimo insegnamento da Malala.
Nel suo intervento durante la celebrazione del Malala Day ha detto:
"Oggi non è il mio giorno, è il giorno di tutti coloro che combattono per i propri diritti. I talebani non mi ridurranno mai al silenzio e non uccideranno i miei sogni".

Oggi non è il mio giorno...
Noi, nati in una condizione migliore dei 50 milioni di bambini che, secondo un’indagine di Save the children e Unesco, non hanno diritto all’istruzione e che spesso sono arruolati in eserciti di guerriglieri o penosamente sfruttati nei mercati della prostituzione, a chi dedicheremo il nostro giorno? Continueremo a tenerlo solo per noi? Continueremo a vivere nell’indifferenza? A volare basso?
Sarebbe bello, ogni mattina, svegliarsi con un sorriso di riconoscenza nei confronti della vita e poter dire: oggi non è il mio giorno, ma il giorno...

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