il blog del Don Bosco Ranchibile

mercoledì 19 novembre 2014

Il principio di contraddizione

Personalmente non l'abbiamo mai dimenticata quella domanda, dalla prima volta che una maestra ce l'ha posta alla scuola elementare; sono cambiati i programmi, sono cambiati i metodi di insegnamento e, soprattutto, di studio, ma rimane sempre un classico e riviviamo anche la sottile e piacevole sensazione che, quando siamo stati in grado di rispondere abbiamo avuto la prova di aver fatto un passo verso la maturità intellettiva: qual è la differenza tra l'uomo e l'animale?
Sin dalla prima volta, non abbiamo nutrito dubbi, fin troppo semplice: la ragione.
Crescendo ed affinando la nostra capacità di indagine e di riflessione, abbiamo ritenuto opportuno integrare questa prima e semplice intuizione con nuovi elementi, magari suggeriti dall'esperienza e (perché no?) dai nostri studi: i sentimenti, dice qualcuno, ma qualche animalista storce le labbra... la coscienza, la consapevolezza che deriva dalla riflessione, la spiritualità... e più gli studi si fanno seri, più l'analisi diventa profonda.
Ma non è necessario scomodare grandi luminari in scienze umanistiche per individuare un'altra straordinaria differenza che allontana drasticamente l'uomo dal mondo animale (del quale rimane comunque un autorevole esponente): la contraddittorieta.
Basta un piccolo viaggio, pochi minuti di navigazione sul web, poche pagine di un quotidiano sfogliate distrattamente addentando una briosche, poche immagini carpite da uno dei numerosi (spesso inguardabili) telegiornali.
Il 12 e il 13 novembre scorso due notizie venivano affiancate, quasi a sottolineare il duro contrasto generato da una umanità schizofrenica, capace di raggiungere livelli altissimi e di toccare gli abissi più profondi.
Anche i nomi ci ingannano: la grandezza dell'uomo viene raccontata da un nome semplice, un nome di donna e di un fiore, Rosetta. Oggi questo nome ci parla di passione, volontà e determinazione. Ci parla di un lavoro intenso, durato anni, che ha coinvolto molte persone di paesi diversi, accomunate dal desiderio di vedere l'umanità infrangere i suoi limiti e tentare la conquista dell'universo.
La sonda Rosetta, dell'Agenzia Spaziale Europea, partita dalla Terra nel 2004, ha sganciato il suo lander, Philae, che si è posato su una cometa, la 67/P Churyumov-Gerasimenko, a cinquecento milioni di distanza dal nostro pianeta.
Da Philae sono arrivate le prime foto, i suoni della cometa, e presto dovrebbero arrivare i risultati delle analisi fatte su parti del suolo.
Straordinario! "L'hai fatto poco meno degli angeli!", dice il Salmo 8. E parla dell'uomo.
Ma un altro nome, lo stesso giorno, circola accanto a quello di Rosetta. È quello di Tor Sapienza. Stavolta, a dispetto del nome, l'immagine dell'uomo che ne viene fuori non è certo delle migliori. In questo quartiere periferico della città di Roma da più giorni si combatte una guerriglia che vede coinvolti gli abitanti del posto, le forze di polizia e un gruppo di immigrati stipati dentro un centro di accoglienza. Una guerra tra i poveri che è frutto di anni di indifferenza, incuria, insensibilità ed egoismo. Una guerra che lascia l'amaro in bocca. A farne le spese sono sempre gli ultimi, indipendentemente dal colore della pelle, dal paese di origine, dall'appartenenza religiosa o dalla fede politica.
E proprio nel mondo della politica si continua a fare orecchi da mercante e, tra passerelle e provocazioni, il grido dei disperati rimane inascoltato. E si trasforma in rabbia, in violenza.
A che serve la storia, ragazzi miei, a che serve tutta la scienza, se nulla cambia? A che serve sognare in grande se nell'aria non s'arresta l'eco delle parole di Quasimodo "Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo... T'ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta".
La mia generazione può raccontare il progresso. Ne ha registrato una sconvolgente accelerazione negli ultimi anni.
Avevo solo due anni quando un uomo saltellava sulla Luna e tutte le televisioni trasmettevano quelle immagini in bianco e nero alla gente stupita; ho visto in diretta le prime missioni dello Shuttle, con le sue partenze più volte rimandate; i rover che esplorano Marte in vista di una probabile visita umana suscitano ancora oggi curiosità e fantasia; ho visto l'atterraggio di Philae sulla cometa insieme a mia figlia che qualche giorno prima mi aveva chiesto: "Papà, cos'è una macchina da scrivere?".
Come si può non amare l'uomo che ha fatto tutto questo?
Ma è comunque difficile accettare che "l'uomo del mio tempo", che è stato in grado di cambiare il mondo, di governare la natura, di fare grandi passi nella conquista dell'universo, non sia riuscito a fare un piccolo passo verso il fratello, non sia riuscito a conquistare il suo cuore.
E torna ancora il suono di quelle parole:
"...senza amore, senza Cristo".
Per lo sviluppo della scienza contribuisce un numero limitato di uomini.
Per lo sviluppo della coscienza è necessario il contributo di tutti e di ciascuno.
Anche il vostro

mercoledì 12 novembre 2014

Piccola buona azione quotidiana con il sapore dell' acqua di cocco

Quando le parole non ci vengono in aiuto, quando i pensieri sono tanti, ma difficili da articolare, grazie a Dio non siamo soli. Troviamo qualcuno che in situazioni simili alle nostre, con emozioni simili alle nostre, quei pensieri è riuscito in qualche modo a metterli in ordine, ad esprimerli e raccontarli con le parole giuste.
E allora facciamo spazio a quelle parole...

Il primo luglio alle ore 13 e 05 c' era un uomo di circa cinquant' anni sdraiato sul marciapiede di Copacabana. Passai davanti a lui, lanciai una rapida occhiata e proseguii per la mia strada in direzione di un chiosco dove sono solito bere acqua di cocco. Come carioca, ho già incrociato centinaia (migliaia?) di volte uomini, donne o bambini sdraiati per terra. Come chi è solito viaggiare, ho già visto la stessa scena praticamente in tutti i Paesi in cui sono stato, dalla ricca Svezia alla povera Romania. Ho visto persone sdraiate per terra in tutte le stagioni dell' anno: nell' inverno tagliente di Madrid, New York o Parigi, dove stanno vicino all' aria calda che esce dalle stazioni del metro; nel sole caldo del Libano, tra gli edifici distrutti da anni di guerra. Persone sdraiate per terra - ubriache, senza riparo, stanche - non sono una novità nella vita di nessuno. Presi la mia acqua di cocco. Dovevo ritornare rapidamente, perché avevo un' intervista con Juan Arias, del giornale spagnolo El Pais. Lungo la strada di ritorno, vidi che l' uomo era sempre lì, sotto il sole e tutti quelli che passavano si comportavano esattamente come me: guardavano e proseguivano. Malgrado io non lo sapessi, la mia anima era stanca di vedere quella stessa scena, tante volte. Quando passai di nuovo vicino a quell' uomo, qualcosa più forte di me mi fece inginocchiare per tentare di sollevarlo. Non reagì. Gli girai la testa. C' era sangue vicino alla tempia. E ora? Era una ferita grave? Gli pulii la pelle con la mia camicia: non sembrava nulla di serio. In quel momento l' uomo cominciò a mormorare qualcosa come: «Chiedete loro di non picchiarmi». Bene, era vivo. Ora dovevo toglierlo dal sole e chiamare la polizia. Fermai il primo uomo che passò e gli chiesi di aiutarmi a trascinarlo all' ombra tra il marciapiede e la sabbia. Indossava un abito, portava una valigetta, dei pacchi, ma lasciò tutto da parte e venne ad aiutarmi - anche la sua anima doveva essere stanca di vedere quella scena. Una volta messo l' uomo all' ombra, mi diressi verso casa mia. Sapevo che c' era una stazione di Polizia militare dove avrei potuto chiedere aiuto. Ma prima di arrivarvi, incrociai due soldati. «C' è un uomo ferito, davanti al numero tale - dissi -. L' ho messo sulla sabbia. Sarebbe bene mandare un' ambulanza». I poliziotti dissero che avrebbero preso i provvedimenti del caso. Ecco, avevo compiuto il mio dovere. Boy scout, sempre allerta. La buona azione del giorno. Il problema ora era in altre mani. Che ci pensassero loro. E il giornalista spagnolo sarebbe arrivato a casa mia tra qualche minuto. Non avevo fatto dieci passi e uno straniero mi fermò. Parlò in un portoghese confuso: «Avevo già avvisato la polizia dell' uomo sul marciapiede. Mi hanno detto che, purché non si tratti di un ladro, non è un problema che li riguardi». Non lo lasciai finire di parlare. Tornai dalle guardie, convinto che sapessero chi fossi, che scrivevo sui giornali e apparivo in televisione. Tornai con la falsa impressione che il successo, in taluni momenti, aiuta a risolvere molte cose. «Lei è un' autorità?» mi chiese uno di loro notando che chiedevo aiuto in modo più incisivo. Non avevano idea di chi io fossi. «No. Ma ora risolveremo questo problema». Ero vestito male, la mia camicia era macchiata del sangue dell' uomo, portavo bermuda tagliati da un vecchio jeans. Ero sudato. Ero un uomo comune, anonimo, senza alcuna autorità oltre alla mia stanchezza di vedere gente sdraiata per terra, per decine di anni della mia vita, senza aver mai fatto assolutamente nulla. E questo cambiò tutto. C' è un momento in cui sei o vai oltre qualunque blocco o paura. C' è un momento in cui i tuoi occhi sono diversi e le persone avvertono che stai parlando seriamente. Le guardie vennero con me e chiamarono l' ambulanza. Tornando a casa, ricordai le tre lezioni di quella passeggiata:

a) tutti possono fermare un' azione quando essa è ancora puro romanticismo.
b) c' è sempre qualcuno per dire: «Ora che hai cominciato, vai fino alla fine». E infine:
c) tutti noi siamo un' autorità quando siamo assolutamente convinti di quello che facciamo.

Paulo Coelho
(traduzione di Paola Mutti)

mercoledì 5 novembre 2014

Gli uomini lo fanno meglio (ma anche no!).


Sabato mattina, festa di tutti i santi, Papa Francesco celebra la messa al Verano, il cimitero di Roma. Riprende le parole della prima lettura, in cui si parla del potere dato agli angeli di devastare la terra. E dice: «Gli uomini sono capaci di farlo meglio. Noi uomini siamo capaci di devastare la terra meglio degli angeli, questo lo stiamo facendo. Siamo capaci di devastare la terra, la cultura, la speranza. Quanto bisogno abbiamo della forza del Signore perché ci sigilli con il suo amore e la sua forza per fermare questa pazza corsa di distruzione. Distruzione di quello che Lui ci ha dato, delle cose più belle che lui ha fatto per noi perché noi le portassimo avanti, le facessimo crescere, dare i frutti».
Riferendosi poi al bombardamento che durante la seconda guerra mondiale ha distrutto il quartiere dove sorge il Verano aggiunge:  «è stato tanto grave e doloroso, ma è niente in comparazione a quello che oggi accade. L'uomo si impadronisce di tutto, si crede Dio, si crede re. E le guerre che continuano, non precisamente a seminare grano di vita, ma a distruggere, è l'industria della distruzione, è un sistema anche di vita che quando le cose non si possono sistemare si scartano: si scartano i bambini, gli anziani, i giovani senza lavoro, questa è la devastazione che ha fatto la cultura dello scarto: si scartano i popoli».
Possibile, mi sono detto, che tutto vada così male? Possibile che non si possa trovare un po' di serenità nel leggere i giornali, nel guardare la televisione... possibile che non ci siano uomini buoni?
Cosi mi sono messo al computer con tutte le buone intenzioni per fare un'accurata ricerca sui giornali online ed individuare qualche "buona novella" dei nostri giorni. È stata una piccola ma reale impresa perché sembra che il bene non faccia notizia, che non sia degno di nota, non stimola la nostra curiosità e pertanto non merita troppo spazio.
"Metto a disposizione il forno della mia taverna per i rom", leggo in un primo titolo. "Ecco", ho pensato, "si tratterà di una persona generosa che concede ai rom di usare i suoi spazi, il suo forno... per fare magari il pane". Niente di più lontano dalla verità. La consigliera comunale Massimilla Conti, di Motta Visconti, provincia di Milano, intende tutt'altro quando scrive sul suo profilo facebook: «Se tra i cani ci sono razze che vengono più predisposte a aggredire, perché non ammettiamo che i rom sono più portati a commettere certi reati?». E continua: «Ci vorrebbero i forni… metto a disposizione la mia taverna. Se vedete del fumo strano che esce dal tetto non vi preoccupate».
E noi che pensavamo di esserci liberati dallo spettro del razzismo, di essere ormai lontani anni luce da certi pregiudizi! Scriviamo su qualsiasi motore di ricerca parole come rom o zingari e ci renderemo conto di esserci sbagliati.
Di più: quanto sottile è il limite che ci conduce a giudicare gli altri con gli stessi parametri. Perché si fa presto a convincerci che non c'è alternativa, che è necessaria ed inevitabile la distinzione netta tra noi e gli altri e che la "tolleranza" dell'illuminista Voltaire e "l'amore" cristiano altro non siano che due sfumature della medesima utopia.
Ora mi chiedo: a cosa è servito abbattere il muro di Berlino se continuiamo a costruire barriere invisibili ancora più alte e più forti?
Si incentivano le politiche della paura piuttosto che le politiche della speranza.
Diversità e paura sembrano legarsi nelle nostre storie ordinarie, quelle di tutti i giorni, e nei commenti che facciamo, come osservatori o come partecipanti.
Cito testualmente una pagina dell'interessante saggio di Salvatore Veca:
"Il razzismo è un opzional piuttosto diffuso tra noi, una volta che abbiamo, relativamente da poco, cominciato a metterci alla prova con gli effetti delle grandi migrazioni. La caccia al nero, ancora di moda. E qualche anno fa hanno anche pensato a fare le scuole separate per i figli degli immigrati. Dopo aver inventato il timbro per i ragazzini rom e aver dichiarato lo sgombero e lasciata inadempiuta la promessa civile delle residenze. Ed ecco, a proposito di razzismo, l'immortale commento di Sancho Panza: ≪Nel mondo ci sono solo due razze, quella di chi ha e quella di chi non ha≫. E di Mark Twain: ≪io non chiedo a che razza appartiene un uomo, basta che sia un essere umano, nessuno può essere qualcosa di peggio≫.
Avere e non avere, oggi, continua a fare la differenza e la crudeltà umana sembra davvero non avere limiti.
Un paio di giorni fa, la polizia locale di Milano ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare a carico di una decina di uomini di origine rumena, accusati di aver ridotto in schiavitù  molti loro connazionali e di aver gestito il racket dell'accattonaggio nel capoluogo lombardo.
Uomini, in tanti casi con evidenti mutilazioni o handicap fisici, letteralmente comprati per poche centinaia di euro e costretti a chiedere l'elemosina ai semafori.
Quante volte le vittime della tratta degli schiavi sono state anche vittime dei nostri giudizi. Beffati due volte dalla vita e dall'insensibilità degli altri. Sono vive tante immagini impresse agli incroci della nostra città,  nei viali del parco della Favorita... è vivo il suono di tanti giudizi affrettati.
Si può ancora pensare ad un futuro migliore?
Si può.  Se riusciamo a vedere nell'altro non una minaccia, ma una risorsa. Se riusciamo a sostituire la paura con la speranza... come può fare un padre.
Perché una storia bella l'ho trovata. E ve la voglio raccontare.
È la storia di Yu Xukang, quarantenne contadino delle colline cinesi di cui hanno scritto tempo fa sul Corriere della sera. È la storia di un padre che ogni giorno percorre 18 miglia, (circa 29 chilometri), la metà dei quali con un ragazzino disabile sulle spalle perché non vuole che suo figlio perda anche un solo giorno di scuola. Per non fargli mancare quel prezioso momento di vita comune che noi spesso non sappiamo più apprezzare.
Ci sono uomini come Yu, ne sono convinto. Ce ne sono probabilmente tanti. Non fanno rumore. Quotidianamente fanno qualcosa di grande e magari non ne sono consapevoli. Nel silenzio di una vita semplice ci insegnano a non rassegnarci, a non rinunciare a puntare lo sguardo al futuro, anche quando il presente sembra non concedere alternative.

giovedì 30 ottobre 2014

...per nome e cognome!

Dietro ad ogni nome c'è un volto, una persona, un'identità,  una storia, un cuore.

Ecco l'elenco ufficiale dei ragazzi impegnati nel volontariato a Santa Chiara.

Ad ognuno di loro l'augurio di una vita intensa all'insegna dell'amore e della generosità!

Ad ognuno di loro un grazie di cuore!

mercoledì 29 ottobre 2014

The last photo

Giochiamo spesso con la fantasia. E meno male che c’è ancora concesso.
Le occasioni non mancano, anzi.
Una di queste occasioni mi ha fatto riflettere particolarmente. Ritiro spirituale con una classe del biennio. Ripetiamo un gioco che ormai proponiamo da un po’: se per ipotesi una catastrofe stesse per abbattersi sul nostro pianeta e fossimo costretti a lasciare in fretta la nostra vecchia Terra... se ci venisse garantito tutto l’essenziale per sopravvivere e ci permettessero di portare con noi solo tre oggetti... a che cosa non rinunceremmo? Ve lo ricordate?
Le risposte sono varie e spesso si somigliano, o hanno delle analogie. Cerchiamo di individuare con esse a cosa davvero teniamo di più. Gli oggetti parlano di noi, a volte anche quando non ci siamo...
Bene. In una di queste occasioni mi ha molto colpito la considerazione di un ragazzo che ha detto: “Porterei con me la macchina fotografica, perché vorrei scattare un’ultima foto alla Terra, prima di andare via!”.
Un’ultima foto alla Terra. Caspita! Non ci avevo mai pensato. Diciamo tanto di amare la nostra Terra ma poche volte guardiamo le sue foto. Lo facciamo, normalmente, con le foto di qualcuno o di qualcosa a cui teniamo particolarmente.
Così in un attimo di pausa ho detto: voglio proprio vederla, la Terra!
Google Earth... la tecnologia ci viene incontro. E devo confermare che è proprio bella la Terra. Vista da fuori è meravigliosa... già è stupenda. Oserei dire commovente.
Ho visto la mia casa, ho visto la nostra scuola e ci si sente infinitamente piccoli.
Affascinante l’azzurro degli oceani, tranquillizzante il verde delle foreste, un po’ meno il giallo che nella parte centrale colora i deserti, incantevole il bianco  (sempre più ridotto) dei due poli.
Tutto così funzionale, tutto così organizzato, tutto così perfetto... meraviglioso!
Ma non appena proviamo ad ingrandire la foto per vederne i particolari i colori cambiano.
Vediamo il grigio delle città e dell’inquinamento selvaggio, riusciamo quasi a percepirne l’odore; il nero della miseria e della morte, il rosso del sangue... anche di tutto questo sembra sentire l’odore, e fa male. Colpisce allo stomaco. Ci sono elementi che non hanno colore né odore: le lacrime dei bambini, il silenzio di chi soffre e i sospiri di chi è solo... ne percepiamo il suono sommerso e tutto questo fa sempre male.
Quando scattiamo una foto chiediamo al soggetto ripreso di sorridere. Potremmo chiedere un sorriso anche al nostro pianeta? Certo che sì!
Se potessimo percepirne la voce, probabilmente riusciremmo a sentirne il battito del cuore: ci direbbe che siamo noi che, giorno per giorno, soffochiamo il suo sorriso, e che solo noi possiamo impegnarci, giorno per giorno, per farlo tornare a sorridere. Con le piccole cose,, con i piccoli gesti quotidiani, superando le barriere dell’orgoglio e dell’egoismo.
Amando chi ci sta accanto. Il prossimo appunto.
Non è poesia questa. Se è vero, come alcuni affermano, che anche il semplice cadere di una foglia si ripercuote in qualche modo in tutto il mondo, perché non dovremmo ritenere altrettanto potente il sorriso di un bambino, un piccolo gesto di amore, il dono di un sollievo?
Ci rendiamo conto di quale potente energia siamo custodi?
Impegniamoci allora per far tornare a sorridere la Terra... poi magari scattiamole pure una foto. Che non sia l’ultima.

I mille volti del volontariato

Ci sono molti modi per fare qualcosa per qualcuno...
e per se stessi!
Unisciti anche tu al gruppo del Coro "ADUNAVOCE"!

mercoledì 22 ottobre 2014

Oggi non è il mio giorno


Se da piccola le avessero detto che avrebbe incontrato il presidente della nazione più potente del mondo, che avrebbe potuto parlargli a quattr’occhi; se le avessero raccontato che avrebbe avuto l’occasione per raccontare i suoi sogni ai grandi della Terra, riuniti all’Assemblea delle Nazioni Unite, disponibili ad ascoltarla; se le avessero suggerito che un intero giorno avrebbe portato il suo nome, e che in quel giorno l’avrebbero ascoltata in moltissimi e avrebbero reagito alle sue parole con un’ovazione...  probabilmente avrebbe sfoderato quel sorriso dolce e semplice ma disilluso di chi, sognando, ha imparato a non fuggire la realtà, ma ad immergersi in essa con tutta la propria vitalità.
Se da piccola le avessero detto che un giorno (ancora abbastanza piccola!), al ritorno da scuola, un uomo sarebbe salito sull’autobus sgangherato, sulla strada di casa, e le avrebbe sparato tre proiettili contro, ferendola gravemente alla testa e al collo... forse avrebbe ancora sorriso di fronte a quello strano incubo, ritenendolo senza senso. Perché? Chi avrebbe avvertito in lei una minaccia?
Oggi sorride Malala Yousafzai, come sempre, con quel sorriso che qualcuno avrebbe voluto spegnere, senza riuscirci. Perché Malala ha spaventato quel qualcuno e lo ha fatto proprio con i suoi sogni, lo ha fatto immaginando e suggerendo un mondo diverso, lo ha fatto ribellandosi ad una cultura della prevaricazione, della violenza e della discriminazione.
E’ piccola Malala, fisicamente e anagraficamente piccola, ma in grado di scatenare terremoti.
Nasce nello Swat, piccola regione del Pakistan occupata dalle milizie talebane.
A tredici anni diviene famosa per un blog che lei cura per la BBC, documentando il regime dei talebani pakistani con la sua negazione dei diritti delle donne, in particolare quello all’istruzione.
Il 9 ottobre 2012, (ha 15 anni), è vittima di un attentato. I fondamentalisti ne rivendicano la responsabilità accusandola di essere “il simbolo degli infedeli e dell’oscenità”. Minacciano di ritentarci, nel caso in cui fosse sopravvissuta.
E lei sopravvive. Da Peshawar, dove le sono stati asportati i proiettili, viene trasferita a Birmingham, in un ospedale inglese che si è offerto per curarla.
Riceve alcuni riconoscimenti ufficiali e alcuni premi, ma soprattutto numerosissime manifestazioni di solidarietà e di affetto.
Il 10 ottobre 2014 viene insignita del premio Nobel per la pace insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi. A diciassette anni è la più giovane vincitrice della storia del prestigioso premio.
Questa la motivazione dei giudici che hanno assegnato il premio: “per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti  i bambini all'istruzione”.
Io sono Malala” è il titolo della sua autobiografia. A sedici, diciassette anni c’è poco passato da raccontare, ma tanto futuro da sognare!
"Capiamo l'importanza della luce quando vediamo l'oscurità, della voce quando veniamo messi a tacere. Allo stesso modo nel Pakistan abbiamo capito l'importanza di penne e libri quando abbiamo visto le pistole.
La penna  è più forte della spada. È vero che gli estremisti hanno e avevano paura di libri e penne. Il potere dell'istruzione fa loro paura. E hanno paura delle donne: il potere della voce delle donne li spaventa. Per questo hanno ucciso 14 studenti innocenti, per questo hanno ucciso le insegnanti, per questo attaccano le scuole tutti i giorni. Gli estremisti hanno paura del cambiamento, dell'uguaglianza all'interno della nostra società".
Sono parole sue, parole pronunciate durante il Malala Day, quando è stata ricevuta dai rappresentanti delle Nazioni Unite al Palazzo di vetro di New York.
"Sono qui e oggi parlo per tutti coloro che non possono far sentire la propria voce; pensavano che quel proiettile ci avrebbe fatto tacere per sempre, ma hanno fallito", ha detto, lanciando un vibrante appello "all'istruzione per tutti i bambini".
Tra i suoi sogni più grandi c’è quello di un mondo dove i potenti si impegnino per la pace, per i diritti di donne e bambini, per il diritto all’istruzione, per tutto ciò che può garantire ad ognuno giustizia e felicità:
"Chiediamo ai leader di tutto il mondo di cambiare le politiche strategiche a favore di pace e prosperità, che tutti gli accordi tutelino i diritti di donne e bambini. Chiediamo a tutti i governi di assicurare l'istruzione obbligatoria e gratuita in tutto il mondo a ogni bambino, di lottare contro il terrorismo e la violenza, ai Paesi sviluppati di sostenere i diritti all'istruzione per le bambine nei Paesi in via sviluppo. Chiediamo a tutte le comunità di respingere i pregiudizi basati su caste, sette, religione, colore, genere... Chiediamo ai leader di tutto il mondo di assicurare la sicurezza di donne, perché non possiamo avere successo se metà di noi subisce torti. E chiediamo a tutte le sorelle di essere coraggiose, comprendendo il loro pieno potenziale e agendo".
Ragazzi, io non voglio sminuire i vostri bisogni né le vostre prerogative, ma permettetemi e permettetevi di fare un rapido paragone tra quanto avete sentito (o pronunciato) nella recente assemblea degli studenti e le parole di una ragazzina nata in una poverissima regione di uno dei paesi più dilaniati della Terra.
Che il troppo benessere ci stia anestetizzando il cuore? Che a poco a poco stiamo rischiando di non sapere guardare oltre i nostri interessi personali?
Che effetto fa sapere (se lo sappiamo!) che mentre noi ci battiamo per una tapparella che non  funziona, per un ventilatore che non gira, per un orologio che manca alla parete, per la carta igienica e il “bagnoschiuma” nei servizi, per cinque minuti di ricreazione in più, per due compiti assegnati lo stesso giorno, (tutto sacrosanto e dovuto... lo so!)... che effetto fa sapere che da un’altra parte del pianeta ci sono nostri coetanei che, per veder riconosciuto il diritto fondamentale alla libertà di scelta, sfidano i manganelli della polizia riparandosi sotto semplici ombrelli colorati?
Siamo nati fortunati. E’ vero. Ma non siamo migliori degli altri.
Accettiamo umilmente un ultimo insegnamento da Malala.
Nel suo intervento durante la celebrazione del Malala Day ha detto:
"Oggi non è il mio giorno, è il giorno di tutti coloro che combattono per i propri diritti. I talebani non mi ridurranno mai al silenzio e non uccideranno i miei sogni".

Oggi non è il mio giorno...
Noi, nati in una condizione migliore dei 50 milioni di bambini che, secondo un’indagine di Save the children e Unesco, non hanno diritto all’istruzione e che spesso sono arruolati in eserciti di guerriglieri o penosamente sfruttati nei mercati della prostituzione, a chi dedicheremo il nostro giorno? Continueremo a tenerlo solo per noi? Continueremo a vivere nell’indifferenza? A volare basso?
Sarebbe bello, ogni mattina, svegliarsi con un sorriso di riconoscenza nei confronti della vita e poter dire: oggi non è il mio giorno, ma il giorno...

Il calendario dell'avvento

Avvento, tempo di attesa. Tempo di attese. Sono tante le attese che ognuno di noi porta nel proprio cuore. C’è chi spera in un domani miglio...