il blog del Don Bosco Ranchibile

lunedì 18 ottobre 2021

La ranocchia

 Olivier Clerc è uno scrittore francese che ci propone una interessante riflessione:

Immaginate una pentola piena d'acqua fredda in cui nuota tranquillamente una piccola ranocchia.

Un piccolo fuoco è acceso sotto la pentola e l'acqua si riscalda molto lentamente.

L'acqua piano piano diventa tiepida e la ranocchia, trovando ciò piuttosto gradevole, continua a nuotare.

La temperatura dell'acqua continua a salire. Ora l'acqua è calda, più di quanto la ranocchia possa apprezzare, si sente un po' affaticata, ma ciò nonostante non si spaventa.

Ora l'acqua è veramente calda e la ranocchia comincia a trovare ciò sgradevole, ma è molto indebolita, allora sopporta e non fa nulla.

La temperatura continua a salire, fino a quando la ranocchia finisce semplicemente per cuocere e morire.

Se la stessa ranocchia fosse stata buttata direttamente nell'acqua a 50 gradi, con un colpo di zampe sarebbe immediatamente saltata fuori dalla pentola.

Ciò dimostra che, quando un cambiamento avviene in un modo sufficientemente lento, sfugge alla coscienza e non suscita nella maggior parte dei casi alcuna reazione, alcuna opposizione, alcuna rivolta.


Potremmo prendere in considerazione tale insegnamento a più livelli e sotto diverse angolazioni.

Se ne potrebbe fare una lettura di tipo socio-antropologica: certi modi di fare, che una volta avrebbero causato la reazione immediata di molti, o avrebbero generato scandalo, oggi vengono tollerati solo, per il fatto che sono entrati piano piano a far parte del modo comune di agire e hanno provocato una trasformazione del nostro modo di percepirli.

Si potrebbe anche ipotizzare una lettura "individuale", di tipo psicofisico. Mentre cresciamo è inevitabile la nostra trasformazione psicofisica, ma l'esito di questa trasformazione non è scontato. Della bontà o della pericolosità di certi gesti e comportamenti, che spesso mettiamo in atto con cadenza quotidiana, e il più delle volte ci vengono proposti, ci renderemo conto solo dopo, quando probabilmente non avremo più la forza per poter rimediare.

Il futuro si gioca oggi.

Se io ti dico: "Dai, amico mio, manda giù questa grande quantità di veleno, ti provocherà un piacere enorme, anche se poi chiaramente ti schiatterà il cuore e morirai, ma vuoi mettere...", probabilmente mi dirai "Ma sei scemo? Bevitelo tu! Io ci tengo alla mia vita!".

Ma se questo "veleno" ti viene offerto centellinato, goccia dopo goccia, sospirata dopo sospirata, gesto dopo gesto, spavalderia dopo spavalderia,... e piano piano ti accorgi che ti vai trasformando, che il tuo carattere si fa sempre più debole e rischi di fare la fine della ranocchia? 

A questo serve lo studio, a questo serve la conoscenza. A guardarti intorno, aprire la mente, scoprire l'inganno di chi sulla tua stessa vita fa semplicemente dei calcoli economici e non ti vuole libero, ma prigioniero di un sistema nel quale ti fa entrare piano piano e dal quale sa che non potrai più uscire.

Adesso voglio dirti una cosa che può sembrarti una follia: paradossalmente, chi ti vuole veramente libero a volte ti lega.


Proprio come il contadino che lega stretto un alberello ad un sostegno, finché non sarà in grado di resistere da solo alle intemperie.

Ricordi Ulisse e le sue sirene?

Aristotele, grande filosofo dell'antichità diceva che per educare un ragazzo ad una vita virtuosa, una vita buona, non bisogna affidarsi a tanti discorsi, (pensa, un filosofo che sulla forza dei "discorsi", delle parole, dei concetti, aveva costruito tutta la sua scienza logica!), ma è opportuno fargli ripetere continuamente delle azioni buone, finché per lui saranno un'abitudine.


Che avesse ragione?



martedì 12 ottobre 2021

Giulia e Martina. Due storie.

 



Mi piacciono i social, anche se in tanti dicono che non sono la realtà.

Ma c’è di tutto, nei social, come nella realtà. 

Ci sono esempi da seguire ed esempi da evitare. Come nella realtà. 

E ci sono storie che raccontano la realtà.


Da piccoli ci dicevano di non parlare con gli sconosciuti. Ma non tutti gli sconosciuti erano cattivi. Magari con qualcuno di loro sarebbe stato bene parlare, per arricchirci, ma li abbiamo evitati.

Così i social: evitarli a prescindere non è una buona soluzione. Starci dentro e formarsi una coscienza critica (del resto non siamo soli, almeno spero!) potrebbe essere una scelta migliore.


Ad esempio, un paio di giorni fa mi sono imbattuto in una pagina facebook che presenta un parallelismo tra due storie e due persone. È stata un’ottima occasione per riflettere.


Cito letteralmente dalla pagina facebook “Piccole storie”:


«L'altro ieri verso lo stesso orario sono accadute 2 cose che fotografano benissimo lo stato in cui versa l'umanità.

A destra c'è Giulia de Lellis, regina di Instagram, milioni di seguaci, migliaia di euro guadagnati al mese, che ieri circolava per le strade di Milano con questo completino alquanto curioso.

Subito immortalata sui maggiori quotidiani online d'Italia, il trionfo dell'estetica.

Nel mentre a qualche chilometro di distanza, c'era Martina, giovane carabiniere, sconosciuta, un numero come tanti altri, che si ritrovava in un paesino sperduto del Veneto a convincere una giovane madre a non buttarsi giù da un ponte.

Si siede a pochi metri da lei ed instaurano un lungo discorso, la signora le parla dei suoi problemi economici, la paura di non poter assicurare ai suoi figli un futuro dignitoso, Martina dal canto suo la calma, la tranquillizza, riesce a ribaltare le sue fragilità ed a trasformarle in speranza, in forza d'animo.

Dopo 3 ore e mezzo (ripeto 3 ore e mezzo) scendono abbracciate ed esplodono entrambe in un pianto liberatorio».

L’autore del post dice di aver letto la notizia su uno sconosciuto giornalino online del Veneto.

 

È grande il senso di amarezza che deriva dalla differenza di trattamento che nella nostra società viene concesso a due giovani donne: Martina ha salvato una vita, Giulia ci dice come vestire, come avere un fisico perfetto. Eppure la comunicazione sociale spinge perché tante ragazzine sentano il desiderio di imitare Giulia e non Martina, perché Giulia, indossando dei mutandoni si fa un sacco di soldi e Martina, indossando una divisa, ha uno stipendio appena accettabile.

 

Continua l’autore del post:

«Invito tutti a leggere una ricerca del Wall Street Journal da dove si evincono gli effetti devastanti che sta avendo Instagram sugli adolescenti. Leggere che un terzo delle ragazzine non accetta più il proprio corpo da quando usa Instagram fa veramente male al cuore.

Cari Influencer avete un grande potere da cui derivano però anche grandi responsabilità.

Vi chiedo e vi scongiuro, postate anche contenuti, sentimenti.... ne abbiamo veramente bisogno».

 

Ci insegnavano a non fidarci degli sconosciuti. Oggi ci dicono di non fidarci dei social.

Ma il male e il bene sono sempre esistiti, come il bello e il brutto, il buono e il cattivo.

Imparare a distinguerli è la difficile sfida della vita, per ciascuno di noi.

Aiutarci ad imparare a distinguerli è il difficile compito dei genitori, della scuola, degli educatori.

Piuttosto che di persone che ci dicano come vestirsi, truccarsi, atteggiarsi, facendo di noi spesso dei ridicoli burattini, abbiamo bisogno di persone che ci aiutino ad apprezzare la bellezza della vita, ad essere noi stessi, preziosi agli occhi del mondo e agli occhi di Dio.

 

Siate Martina.      


(Pino Casano)


martedì 5 ottobre 2021

Resto umile!




 È diventato un tormentone.

Meme su meme per sottolineare nostre capacità vere o presunte, per mettere in evidenza il nostro stato sociale o le nostre possibilità economiche, magari per dare agli altri la comunicazione di un’inattesa occasione che ha cambiato la nostra condizione e poi concludiamo con la frase: “però resto umile!“.

Già, l’umiltà… ok, lo diciamo per scherzo, è una battuta, anzi forse vogliamo proprio essere provocatori definendoci umili nel momento in cui proprio non lo siamo.

Ma, a prescindere da questa particolare situazione, diciamo così, “social”, ha ancora senso parlare di umiltà? Me lo chiedo. Perché a volte ho la sensazione che certe virtù siano un po’ démodé!



Camminavo con mio padre, quando all’improvviso si arrestò ad una curva e dopo un breve silenzio mi domandò: “Oltre al canto dei passeri, senti qualcos'
altro?”.

Aguzzai le orecchie e dopo alcuni secondi gli risposi: “Il rumore di un carretto”.

“Giusto – mi disse –. È un carretto vuoto”.

Io gli domandai: “Come fai a sapere che si tratta di un carretto vuoto se non lo hai ancora visto?”.

Mi rispose: “E’ facile capire quando un carretto è vuoto, dal momento che quanto più è vuoto, tanto più fa rumore”.

Divenni adulto e anche oggi quando vedo una persona che parla troppo, interrompe la conversazione degli altri, è invadente, si vanta delle doti che pensa di avere, è prepotente e pensa di poter fare a meno degli altri, ho l’impressione di ascoltare la voce di mio padre che dice:

“Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore". (Bruno Ferrero)


L’umiltà non fa rumore.

E l’umiltà non è una virtù fine a se stessa e ancor meno serve vantarsene. Sarebbe contraddittorio.

Essere umili significa avere il senso delle cose. Essere nella realtà. Avere il senso della terra. Ma quanto è difficile oggi, in una società dove la competizione e la sopraffazione sono i principali strumenti di affermazione sociale.

Pieni di noi stessi, rischiamo di non riconoscere il vuoto che è dentro di noi.

“Umiltà” ha la stessa radice della parola umano, derivano da humus, che significa terra. Perché questo è ciò che siamo. 


martedì 28 settembre 2021

C'è un mondo da aggiustare

 



Immagino che molti di voi abbiano sentito parlare di “Fridays for future”. Lo spero almeno.

Questo grande movimento, diffuso in moltissimi paesi del pianeta, ha raccolto migliaia e migliaia di giovani attorno a sé e, ispirandosi alle proteste di Greta Thunberg, organizza eventi a tutti i livelli per manifestare a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile.

Uno di questi eventi ha avuto luogo venerdì scorso, 24 settembre, sotto forma di uno sciopero globale per il clima dal titolo “Salvare il futuro non ha prezzo”.

Qualcuno, con ironia aggiungerebbe: “per tutto il resto c’è mastercard!”. Ma senza futuro… beh.


Ottanta città italiane, compresa la nostra Palermo, hanno ospitato l’evento.

Non è la prima volta che assisto ad un evento del genere, che vedo giovani di buona volontà agitarsi, sbracciare, cantare, gridare, metterci tanto pathos… ma ogni volta sento dentro qualcosa che stride. 

E mi torna in mente una storiella. Banale, se volete. O forse no.


Durante l'assenza della moglie, un importante uomo d'affari dovette rimanere in casa per badare ai due scatenatissimi bambini. Aveva un'importante pratica da sbrigare, ma i due piccoli non lo lasciavano in pace un istante.Cercò così di inventare un gioco che li tenesse occupati per un po' di tempo. Prese da una rivista una carta geografica che rappresentava il mondo intero, una carta complicatissima per i colori dei vari stati.Con le forbici la tagliò in  pezzi minutissimi che diede ai bambini, sfidandoli a ricomporre il disegno del mondo. Pensava che quel puzzle improvvisato li avrebbe tenuti occupati per qualche ora. Un quarto d'ora dopo, i due bambini arrivarono trionfanti con il puzzle perfettamente ricomposto. «Ma come avete fatto a finire così in fretta?», chiese il padre meravigliato. «E' stato facile», rispose il più grandicello. «Sul rovescio c'era la figura di un uomo. Noi ci siamo concentrati su questa figura e, dall'altra parte, il mondo si è messo a posto da solo». 


Chi non ha mai nutrito il sogno di aggiustare il mondo e magari vedersi riconosciuto il merito. Ma sembra una causa persa. Il mondo ci appare sempre peggiore, giorno dopo giorno. Senza Scampo. Di chi è la colpa? Degli altri ovviamente. Se nulla funziona, è sempre colpa degli altri.

E non possiamo farci nulla perché ogni sforzo sembra inutile. Ma la prospettiva, forse, è diversa. E il primo angolo di mondo da guardare non è fuori, ma dentro di noi. Se non siamo in grado di "aggiustare" noi stessi come possiamo pretendere di sistemare questo mondo. Non è necessario scomodare teorie socio-politiche. La questione è più semplice di quanto possa sembrare. Se l'uomo non funziona il mondo va in rovina. E puntare il dito continuamente sugli altri non ha alcun senso. Sarebbe troppo semplice, per me, prendere alcuni esempi di piccoli fatti che tutti i giorni si verificano attorno a noi per confermare quanto ho appena detto. Qualche anno fa, durante un viaggio di istruzione, città come Trieste, Lubiana, ci sono apparse da subito molto belle e i ragazzi immediatamente sottolineavano  ed apprezzavano l' ordine, la pulizia. Non possiamo affermare la stessa cosa quando andiamo in giro per Palermo o altre città siciliane. Ma di chi è la responsabilità? Delle varie amministrazioni pubbliche? Della "gente" incivile che sporca? E noi non abbiamo proprio nessuna colpa? Beh, non ne sarei tanto convinto. Guardate il nostro cortile dopo la ricreazione, le scale, i corridoi. Guardate alcuni banchi ed alcune pareti delle nostre aule. 

 La cultura si forma dalla coscienza dei singoli. Prima di puntare il dito verso gli altri dovremmo sempre interrogare la nostra coscienza. Il mondo che ci circonda è lo specchio di questa coscienza.


Immagino Gesù che impara in famiglia le norme più semplici di educazione e di convivenza. Da Giuseppe, probabilmente, non ha udito molti insegnamenti. Perché li ha "visti"... vissuti in prima persona. 


Il saggio Bayazid diceva: "Quand'ero giovane ero un rivoluzionario e tutte le mie preghiere a Dio erano: «Signore, dammi la forza di cambiare il mondo». Quando ero ormai vicino alla mezza età e mi resi conto che metà della mia vita era passata senza che avessi cambiato nulla, mutai la mia preghiera in: «Signore, dammi la grazia di cambiare tutti quelli che sono in contatto con me. Solo la mia famiglia e i miei amici, e sarò contento». Ora che sono vecchio e i miei giorni sono contati, comincio a capire quanto sono stato sciocco. La mia sola preghiera ora è: «Signore, fammi la grazia di cambiare me stesso».

Se avessi pregato così fin dall'inizio non avrei sprecato la mia vita".


Se ognuno pensasse a cambiare se stesso, tutto il mondo cambierebbe


(Pino Casano)


lunedì 27 settembre 2021

Di gente che vuole vivere...

 


Wislawa Szymborska (1923-2012), poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura 1996, scriveva così, circa dieci anni fa:






Mantenere le distanze dai pensieri tossici e dai sensi di colpa.

Non mischiare i sogni con chi non ne ha mai realizzato uno.
Coprirsi la bocca per proteggersi da provocazioni e ipocrisie.
Far entrare aria pulita e spalancare le vedute strette.

Evitare in ogni modo il contatto con qualunquisti perbenisti, con pressapochisti sempre in cerca di una scusa e con quelli adagiati sul divano dei lamenti. Farsi contagiare solo dagli inquieti, dai poeti, dagli acrobati del possibile, da chi non vede l’ora. Se non ne conosci, cercali!
Di gente che vuole vivere è pieno il mondo.

Ogni mia parola di commento sarebbe superflua. Il testo della Szymborska è estremamente incisivo. Mi limito a sottolineare una frase: Di gente che vuole vivere è pieno il mondo.
Ecco, questa è la gente che dobbiamo cercare.

Don Enzo Volpe

giovedì 23 settembre 2021

Per sempre libero




Ormai è un leitmotiv quotidiano, l'ossessione degli ultimi tempi: stanno limitando la nostra libertà.
In un modo o nell'altro tentano di renderci dei manichini inerti, o dei burattini mossi da potenti che hanno sul mondo disegni occulti!
E allora mi sono chiesto: cosa significa essere libero? Cos'è davvero la libertà?
Ho cercato qualche risposta e mi sono reso conto che di libertà si può parlare su livelli diversi, e non tutti hanno la stessa importanza.
Una prima forma di riflessione l'ho trovata in rete, quando alla parola libertà ho trovato abbinato un esempio, l'esempio di un gigante della libertà, Nelson Mandela.
Forse parleremo ancora di libertà, ma oggi trovo questo messaggio molto forte.
E voglio proporvelo.


"Dopo essere diventato presidente, ho chiesto alla mia scorta di andare a pranzo in un ristorante. Ci siamo seduti e ognuno di noi ha chiesto ciò che ha voluto.

Sul tavolo davanti, c'era un uomo che aspettava di essere servito. Quando è stato servito, ho detto a uno dei miei soldati: vai a chiedere a quel signore di unirsi a noi. Il soldato è andato e gli ha trasmesso il mio invito. L’uomo si è alzato, ha preso il suo piatto e si è seduto proprio accanto a me. 

Mentre mangiava le sue mani tremavano costantemente e non alzava la testa dal suo cibo. Quando abbiamo finito, mi ha salutato senza guardarmi, gli ho dato la mano e se n'è andato.

Il soldato mi ha detto:

Madiba quell'uomo doveva essere molto malato, visto che le sue mani non smettevano di tremare mentre mangiava.

Risposi: No, assolutamente! La ragione del suo tremore è un'altra.

Allora gli ho detto:

Quell'uomo era il custode della prigione dove sono stato. Dopo che mi torturava, urlavo e piangevo chiedendo un po ' d'acqua e lui veniva mi umiliava, rideva di me e invece di darmi acqua, urinava nella mia testa.

Non è malato, aveva paura  che io, ora presidente del Sudafrica, lo mandassi in carcere e gli facessi quello che mi ha fatto lui. Ma io non sono così, questa condotta non fa parte del mio carattere, né della mia etica.

Le menti che cercano vendetta distruggono gli stati, mentre quelle che cercano la riconciliazione costruiscono nazioni. 

Uscendo dalla porta verso la mia libertà, sapevo che se non mi fossi lasciato alle spalle tutta la rabbia, l'odio e il risentimento, sarei ancora prigioniero."

(Nelson Mandela)



La nostra libertà è in parte nelle mani degli altri. E in parte nelle nostre mani. 

Meglio: nella nostra mente e nel nostro cuore.

…sapevo, che se non mi fossi lasciato alle spalle tutta la rabbia, l’odio e il risentimento, sarei ancora prigioniero”.

Non importa se sei il presidente del Sudafrica o un comune cittadino di qualunque paese del mondo. Ciò che ti chiude in gabbia è tutto il male che ti porti dentro e di cui non riesci a liberarti.

Facile non è. Non lo è mai stato. 

Ma non sembra che ci siano alternative.

Forse è proprio questo il più grande insegnamento che troviamo nel vangelo e nella testimonianza autentica di tanti cristiani: Gesù non si è vendicato, come una qualsiasi divinità del passato. Quelle divinità sembravano uomini maggiorati, potenziati.

Ma Gesù si presenta come un Dio diverso, libero dalle logiche umane, libero dal diritto dell’ occhio per occhio, libero di perdonare, anche quando sembra impossibile.

San Paolo ci dice che ciò che è impossibile per l’uomo non lo è per Dio. 

Abbiamo pensato che si riferisse ai miracoli. Forse si tratta piuttosto di essere capaci di amare oltre ogni umana misura. Fino a perdonare i tuoi aguzzini, i tuoi carnefici.


mercoledì 22 settembre 2021

Racconto perché...

 

mountain pose

Quest'anno abbiamo iniziato il nostro percorso formativo, con il buongiorno del sig. Preside.

Ci ha parlato di una figura straordinaria, Don Pino Puglisi, un uomo senza limiti perché libero.

Ha dato fastidio perché parlava del bene e per il bene. Questo sognava per i ragazzi che avvicinava: un mondo bello, nuovo, dove il male piano piano indietreggi e lasci spazio al bene. 

Era, come ci ha detto il preside, un educatore.

Non è facile educare. Bisogna imparare a remare controcorrente, a subire qualche critica, se capita, a rimanere saldamente legato ai propri valori, anche quando la tendenza maggiore è la relativizzazione.

L’educatore ascolta e, quando è necessario, parla. 

In questo senso il nostro percorso formativo prevede un momento, al mattino, chiamato “il buongiorno”. 

Vi sarà data una parola, che può avere dei risvolti, oppure no. 

Ma non importa: il seminatore sa già che non tutti i semi che sparge potranno portare frutto. Non per questo si arrende.


C’era una volta un narratore. Viveva povero, ma senza preoccupazioni, felice di niente, con la testa sempre piena di sogni. Ma il mondo intorno gli pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato d’anima. E ne soffriva.

Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un’idea. «E se raccontassi loro delle storie? Potrei raccontare il sapore della bontà e dell’amore, li porterei sicuramente alla felicità». Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce. Anziani, donne, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada.

Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un giorno, non si scoraggiò. Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore. Nuovamente la gente si fermò, ma meno del giorno prima. Qualcuno rise di lui. Qualche altro lo trattò da pazzo. Ma lui continuò imperterrito a narrare. 

Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, offrire i suoi racconti di amore e di meraviglie. Ma i curiosi si fecero rari e, ben presto, si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti che lo sfioravano appena. Ma non rinunciò. Scoprì che non sapeva e non desiderava fare altro che raccontare le sue storie, anche se non interessavano a nessuno. 

Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato. La gente lo lasciò solo dietro le palpebre chiuse. Passarono così degli anni.

Una sera d’inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì che qualcuno lo tirava per la manica. Aprì gli occhi e vide un ragazzo. Il ragazzo gli fece una smorfia beffarda: «Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato né ti ascolterà mai? Perché diavolo vuoi perdere così il tuo tempo?».

«Amo i miei simili», rispose il narratore. «Per questo mi è venuta voglia di renderli felici».

Il ragazzo ghignò: «Povero pazzo, lo sono diventati?».«No», rispose il narratore, scuotendo la testa.

«Perché ti ostini, allora?», domandò il ragazzo, preso da una improvvisa compassione.

«Continuo a raccontare, e racconterò fino alla morte. Un tempo era per cambiare il mondo...». Tacque, poi il suo sguardo si illuminò.

E disse ancora: «Oggi racconto perché il mondo non cambi me».



Magari ci è già capitato. Magari ci capiterà, di incontrare dei “pazzi” felici che ci parlano di Dio. Don Pino Puglisi era uno di loro.

Dio ha cambiato la loro vita, rendendola meravigliosa, perché hanno capito cosa è l’essenziale. Il loro desiderio allora è quello di trasmettere questa felicità ai loro simili, nonostante tutto, ad ogni costo. Sì, anche a costo di rimanere soli... e se nessuno li ascolta continueranno a parlare perché, anche se non potranno cambiare il mondo, il mondo non cambi loro. 

«Dio è dentro il nostro cuore per dirci che dobbiamo essere bravi», scrive una bambina nel quaderno del catechismo.

La catechista le domanda: «E se una bambina non vuole ascoltarlo?».

La bambina sgrana gli occhi e risponde tranquilla: «Oh, Lui ripete».

Ostinatamente, nonostante tutto, Dio continua a raccontare la sua storia.

Il calendario dell'avvento

Avvento, tempo di attesa. Tempo di attese. Sono tante le attese che ognuno di noi porta nel proprio cuore. C’è chi spera in un domani miglio...